Reggio. Per l’amministrazione comunale è tempo di bilanci

Reggio Calabria. Vorrei provare a fare un bilancio di ciò che è successo in città negli ultimi dieci anni. Naturalmente non un bilancio nel senso tecnico del termine perché sarebbe impresa alquanto ardua. Veniamo da un’esperienza amministrativa unica. Unica perché cercare di affiancarle qualsiasi altro tipo di aggettivo non renderebbe neppure minimamente l’idea di quello che è stato il modo allegro di operare dell’amministrazione Scopelliti.
Sarebbe altresì superfluo elencare ciò che non funziona in città. Parafrasando Benigni “non basterebbero due ore”. È stata senza dubbio l’Amministrazione delle cose non fatte, fatte male o fatte a metà. Soltanto nella circoscrizione di cui faccio parte, il centro storico, ci sono diversi esempi: Piazza Italia. Su di essa abbiamo fatto diversi interventi come consiglieri circoscrizionali già nel 2008 per sollecitare l’attenzione. All’epoca l’assessore Freno ci aveva promesso che di lì a poco i lavori sarebbero ripartiti. Ma era una bugia perché quell’opera non era stata inserita nel Piano triennale delle Opere Pubbliche quindi era evidente che non sarebbe potuta ripartire. A tre anni di distanza possiamo dire che avevamo ragione. Diverse, inoltre, quelle opere finite ma abbandonate a se stesse e prive della benché minima manutenzione: Piazza Orange, doveva essere la Piazza Musicale progettata sul modello delle piazze delle più moderne capitali europee. Oggi è invece diventato un acquitrino umido in cui l’unica melodia è quella prodotta d’estate dalle zanzare; Piazza Carmine, qui i lavori sono terminati con straordinario ritardo ed oggi, soltanto dopo pochi anni dalla consegna, la fontana non funziona più e le panchine sono soltanto un ammasso di marmo in frantumi. Ma il danno maggiore, tuttavia, questa Amministrazione non lo ha compiuto sui beni materiali, su cose tangibili.
Il danno più grave è stato qualcosa di interno e di personale e cioè è stato quello di svuotare il cittadino della propria coscienza civica. Fargli credere che bisognava essere per forza loro amico, anzi loro cliente. Si è tornati a respirare un clima di sfiducia, di disaffezione totale nei confronti della città. Le istituzioni sono percepite lontane anni luce dall’individuo. Io stesso vedo sedere sugli scranni del Consiglio Comunale consiglieri che probabilmente non hanno mai fatto un intervento in aula, una proposta in commissione. Ed in questo anche il PD ha la sua fetta di colpa. L’opposizione è stata pressoché assente, salvo alcuni ed isolati esempi, essendo a volte anche complice di quelle mala gestione amministrativa.
In sostanza è venuto meno quel patto di amore che meno di dieci anni fa univa la città alla sua gente. Un sentimento che si rinnovava quotidianamente proprio come quotidianamente si rinnova il rapporto tra due innamorati. E si rinnovava attraverso cose forse piccole, ma sicuramente concrete. Oggi invece c’è una spaccatura evidente.  Ed è proprio in questo solco, pertanto, che deve inserirsi l’attività del nuovo partito Democratico È un dovere morale riuscire a ricucire lo strappo esistente oggi tra città e cittadino, perché noi più di tutti sappiamo che questo è possibile. Bisogna abbandonare le beghe interne, perché quelle ci saranno sempre. In caso contrario continueremo a fare il loro gioco. Continueremo a paralare, cioè di quelli che sono problemi nostri e non problemi di tutti e questo non possiamo più permettercelo. Bisogna tornare tra la gente, nei mercati, nelle Piazze (finché ne resterà qualcuna), bisogna tornare a parlare ai giovani usando il linguaggio dei giovani. A tal proposito, il poeta russo Vladimir Majakovskij, in una dei suoi scritti, diceva: “Non rinchiuderti, Partito, nelle tue stanze. Resta amico dei ragazzi di strada”.

Giuseppe Falcomatà

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