Quella che io chiamo la mia guerra

Gianfranco Moscati è un “ragazzo” nato nel 1924 a Milano; ha vissuto a Napoli sino a qualche anno fa prima di trasferirsi in Svizzera. Nel 1938 la sua vita fu travolta dalle leggi razziali. Dopo la guerra ha iniziato a raccogliere tutto ciò che concerne la Shoah e gli ebrei italiani: accumulando un’imponente collezione che ha donato all’Imperial War Museum nel 2007. Con questa attività ha realizzato una mostra itinerante “Documenti e immagini dalla persecuzione alla Shoah” che, nel 2004, è stata esposta a Roma alla Camera dei Deputati e nel 2011 a Milano, presso la sede della Fondazione Corriere delle Sera. L’aspetto interessante è che alla ricerca storica, affianca una serie d’iniziative a favore dei bambini in difficoltà di Napoli e Israele. Adesso la casa editrice Proedi di Andrea Jarach ha pubblicato una plaquette che narra la sua storia: “Quella che io chiamo la mia guerra”. Dopo alcune pagine che ricordano i momenti salienti della persecuzione antiebraica in Italia, Gianfranco Moscati racconta la sua giovinezza a Milano. Era il più giovane di cinque figli maschi e perse il padre giovanissimo. David, il fratello maggiore, lavorava in Etiopia, dove aveva combattuto nella guerra del 1936. In famiglia c’era uno zio paterno, Roberto Moscati, caduto e decorato della Grande Guerra, e uno zio materno, Clemente Vitale, grande invalido dello stesso conflitto. Su questa famiglia si abbatterono nel 1938 le leggi razziali. Moscati riuscì a sopravvivere fuggendo in Svizzera. Alcuni documenti attestano la confisca dei beni subita dagli ebrei. Quanto accadde, non fu quindi qualcosa di blando, come si ostina pervicacemente a sostenere qualche intellettuale da strapazzo. Dopo la liberazione, il rientro in Italia e il lento ritorno alla vita. Una storia da conoscere e divulgare per ricordare quanto accadde in quegli anni nel nostro Paese.

Tonino Nocera

Exit mobile version