Quanto conta lo sport?

Reggio Calabria. Quanto conta lo sport nella crescita di una persona, in particolare di un adolescente? Quanto concorre a farne un adulto consapevole, e quali danni può produrre, se lo sport è proposto malamente? E ancora, qual è il vero ruolo degli adulti nel processo di crescita dei giovani atleti? Domande che è bene porsi, viste le pressioni familiari (le aspettative dei genitori, la “voglia matta di avere un figlio campione”) che si propongono un po’ ovunque e le richieste competitive (spesso sproporzionate all’età e alle capacità di un giovane atleta, da parte di alcuni allenatori). Se a tutto questo aggiungete una didattica discutibile – alcuni allenatori non ricordano il loro ruolo di educatori – e l’inadeguatezza di alcuni adulti, ecco spiegato come mai cadano le motivazioni di taluni giovani a fare sport. Di qui l’abbandono precoce e, talvolta, il consegnarsi di alcuni adolescenti a un mondo senza sport, scuola, regole, senza neppure sbocchi lavorativi leciti, tanto da diventare casi in mano al Tribunale dei Minori. Famiglia, scuola e società sportiva, i tre cardini del mondo di un giovane sportivo, dovrebbero soprattutto saper leggere i bisogni dell’atleta nel suo processo di maturazione, in cui molto è mimesi, cioè imitazione. Del campione di riferimento, un modello automatico per i giovani atleti. Anche qui: quanto incide il campione? Moltissimo, se il grande atleta sa raccontare come si affronta il successo, come ci si allena a gestirlo, comprese le reazioni emotive. Per costruire il futuro, il campione lavora su di sé, sulla fiducia, sul senso di efficacia personale. Lo stesso deve saper fare il giovane atleta. Conta quello, il talento – da solo – vale poco.
TALENTI PLURIMI
“Uno su mille ce la fa, ma quanto è dura la salita!”. Ogni anno sui campetti in ogni parte del mondo si presentano bambini che sperano di essere, in futuro, tra i pochissimi protagonisti della canzone di Gianni Morandi: calciatori affermati, di successo. Strada lunga, faticosa e ricca di ostacoli quella che porta in vetta, riservata solo a chi talento. Anzi, più d’uno. Bisogna parlare di talenti, di una pluralità: non bastano il controllo di palla, la coordinazione, il tiro. Oltre alle abilità motorie e tecniche per giocare a calcio occorrono doti fisiche: in primis forza e resistenza. E poi doti psicologiche: dato che il calcio è uno sport di situazione, la qualità più importante – anche per un giovanissimo calciatore – è saper risolvere, in breve e in maniera efficace, le diverse situazioni che una partita presenta, quali ad esempio l’uno contro uno o il due contro uno. L’analisi dei talenti non è finita: occorre saper resistere alle pressioni, la capacità di vivere positivamente l’esperienza sportiva, di continuare a divertirsi giocando.
PUNTI DI RIFERIMENTO
Durante la crescita si modificano i punti di riferimento: nell’infanzia la famiglia decide per il bambino, sceglie l’attività sportiva per lui, motivandolo. Nell’adolescenza conta sempre di più il gruppo dei pari, dei coetanei. Da bambini si aderisce istintivamente ai gruppi, da adolescenti si mette tutto in discussione, soprattutto si seguono i pari. L’adolescente chiarisce quel che vuole essere, quello che non gli va di essere o di diventare, i modelli che accetta e quelli che rifiuta. In conclusione servono le giuste motivazioni da parte degli adulti ma senza alcuna forzatura.

dr. Filippo Pollifroni
Presidente Associazione di Volontariato
Don Lorenzo Milani

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