La caldissima pace mediterranea

Israele che stringe accordi con i paesi arabi ed Erdogan che apre più fronti

Recep Tayyip Erdogan

Recep Tayyip Erdogan kremlin.ru, CC BY 4.0, via Wikimedia Commons

Manama ( Bahrain)-  E’ una giornata storica, come tante volte è accaduto, per i rapporti geopolitici in medio oriente. Da una parte vi è l’espansionismo ottomano in tutte le posizioni strategiche mediorientali (Libia e Corno d’Africa, Nagorno Karabakh, Grecia) dall’altra questa mattina il primo aereo israeliano è atterrato sul suolo del Bahrain.

Libano, Israele, Bahrain, Turchia, Stati Uniti, Azerbaijan, Armenia, Grecia, Cipro, Russia stanno giocando da mesi una partita a scacchi che punta alla modifica degli equilibri nella zona più caotica ed allo stesso tempo ricca di giacimenti naturali di gas e petrolio.

IL RUOLO DEGLI USA NELLA MEDIAZIONE CON LO STATO EBRAICO

Un ruolo fondamentale in questa partita a scacchi lo stanno giocando gli USA che, sebbene possa essere criticabile sotto molti punti di vista, al momento vede l’amministrazione Trump come quella che non ha avviato una guerra dal 1928 (insieme a Ford, Nixon ed Eisenhower) ed allo stesso tempo aver contribuito alla normalizzazione di stati islamici come UAE e Bahrain con Tel Aviv. Ed a quanto pare seguiranno Sudan, Oman, Marocco.

Diversa è la situazione tra Israele ed il paese dei cedri. Formalmente ancora in guerra dopo decenni di conflitto Libano ed Israele hanno deciso di avviare colloqui di pace sotto la supervisione degli Stati Uniti. Le due delegazioni si sono incontrate presso la base di Unifil ed i colloqui si svolgono attraverso la mediazione degli Stati Uniti. Si è trattato dei primi rapporti diplomatici civili ufficiali dopo oltre trent’anni di conflitto.

Il Libano, salito alla ribalta dei media mainstream solo dopo la tragica esplosione di Beirut vive una profonda crisi finanziaria e le proteste di piazza sono all’ordine del giorno.

I colloqui tra i due paesi giungono dopo che gli USA hanno intensificato le sanzioni contro Hezbollah sostenuto dall’Iran e l’intensa attività diplomatica condotta da David Schenker, assistente del segretario di stato americano.

Al momento i colloqui si sono concentrati sul confine marittimo, sede di un importante bacino di gas naturale off-shore, ma la situazione pare che stia volgendo ad una normalizzazione dei rapporti.

LA #WARMPEACE

La scorsa settimana, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha speso parole di elogio per la supervisione di una “calda pace”( #warmpeace)  tra Israele, gli Stati del Golfo del Bahrein e gli Emirati Arabi Uniti, in contrasto con la natura fredda delle relazioni tra Israele e gli altri due partner arabi, Giordania ed Egitto.

Almeno stando a quanto viene regolarmente riscontrato nelle dichiarazioni che tendono a sminuire, e talvolta a denigrare, la normalizzazione dei rapporti con lo stato ebraico d parte dei media e di alti funzionai di Giordania ed Egitto.

Al contrario gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrain hanno già espresso la loro eccitazione per il nuovo accordo con Israele. Oggi è toccato al Bahrein dove una delegazione congiunta USA-Israele è atterrata dopo essere decollata da Tel Aviv  per Manama. Poche ore prima che la delegazione lasciasse Tel Aviv, l’ambasciatore del Bahrein a Washington, Abdulla R. Al-Khalifa, ha twittato su questa “giornata storica” ​​e ha incluso nel suo post l’hashtag #warmpeace (calda pace).

ERDOGAN E LA MONTAGNA DELLA DISCORDIA

Armenia e Azerbaigian nella giornata di ieri hanno deciso di stabilire una tregua umanitaria dalle 00:00 del 18 ottobre, ma a quanto pare la tregua umanitaria è stata violata stanotte e stamattina quando l’artiglieria azera ha colpito l’esercito armeno sul Nagorno Karabakh vicino al confine iraniano.

La posta in gioco, per il controllo dell’area, è altissima. La regione è di fatto la via preferenziale per oleodotti e gasdotti che riforniscono i principali mercati mondiali via Mar Caspio.

La questione energetica tocca anche il nucleare: l’Armenia, stando a quanto riportato da Reuters, a luglio 2020, aveva “messo in guardia sui rischi per la sicurezza nel Caucaso meridionale a luglio, dopo che l’Azerbaigian aveva minacciato di attaccare la centrale nucleare dell’Armenia come possibile rappresaglia”.

Ad oggi le prove del ruolo della Turchia nello spingere l’Azerbaigian alla guerra contro l’Armenia si fanno sempre più evidenti. Man mano che emergono altri video di mercenari siriani inviati da Ankara per combattere contro gli armeni, diventa chiaro che lo sforzo logistico per inviare questi combattenti avrebbe avuto una pianificazione messa in atto alcuni mesi orsono attraverso la solita mossa di offensive mediatiche che coinvolgono il “PKK” o potenziali minacce terroristiche. Il 25 settembre Ankara ha ordinato ai suoi media filo-governativi, cioè la maggioranza quasi assoluta, di produrre storie di minacce “PKK” in Armenia. Il quotidiano Sabah, uno dei tanti giornali filogovernativi, titolava: “L’Armenia trasferisce terroristi YPG / PKK dalla Siria e dall’Iraq al Nagorno-Karabakh occupato per addestrare le milizie“. La stessa strategia è servita per giustificare l’attacco alla Siria nell’ottobre 2019 e il bombardamento dell’Iraq nella primavera e nell’estate del 2018. In quell’occasione circa 300.000 curdi sono fuggiti dalle proprie case, molti villaggi yazidi sono stati distrutti, donne assassinate e rapite nel corso delle azioni dei mercenari siriani assoldati da Ankara per compiere crimini di guerra.

Il Mediterraneo è in fermento e forse la pace è più “calda” di quello che potrebbe apparire.

Salvatore De Blasio

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