di Fabiano Polimeni – Pietro Gangemi – Adele Sergi
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Melito di Porto Salvo (Reggio Calabria). Si resta nell’area del Basso Jonio per la seconda “puntata” di Cicloesplorando, viaggio eco-sostenibile alla scoperta dei luoghi più belli e nascosti della provincia reggina. Dopo l’anteprima (in attesa del tracciato completo nelle settimane a seguire, ndr) di Bova, tocca al borgo di Pentedattilo, avvolto nel fascino assoluto di una roccia che sovrasta l’abitato e lo rende immediatamente identificabile sin dalla Strada Statale 106. Lasciata Reggio Calabria, infatti, si prosegue in direzione sud, per arrivare – dopo circa 30 km – a Melito Porto Salvo; sebbene la nostra altimetria abbia il riferimento iniziale e conclusivo nell’abitato di Pentedattilo, la descrizione del percorso partirà proprio da Melito di Porto Salvo, dal Lungomare dei Mille. La lunga risalita comincia dalla foce della fiumara S. Elia: 6km da percorrere nel letto della fiumara in mountain bike o con gli scarponi da trekking, con un fondo sabbioso alluvionale; in caso di pioggia si incontreranno difficoltà nell’avanzamento a causa del fondo instabile, rinnovato di continuo dall’apporto dei nuovi sedimenti, viceversa non vi saranno problemi di sorta – se si eccettua l’ultimo km prima di lasciare l’alveo di scorrimento per inerpicarsi decisamente lungo il fianco della collina -. Una caratteristica della fiumara S.Elia è che, nonostante apparentemente sia in secca, con il risalire torna a scorrere in superficie, instabilizzando nuovamente la sabbia ghiaiosa: servirà una buona preparazione fisica per affrontare il tratto.
Al km 6 si lascia quindi il corso della fiumara, imboccando un sentiero sulla destra che inizia subito in forte pendenza; nelle vicinanze, un magnifico esemplare di gelso nero indica l’esattezza del percorso. Al km 7 (calcolato da Melito Porto Salvo, ndr), dopo 1000 metri di buona pendenza si giunge a un incrocio con altri tre sentieri: prendete quello a sinistra in salita e proseguite per altri 1000 metri fino a giungere in un avvallamento erboso molto panoramico dal quale godersi una piccola sosta (siamo al km 8). Si prosegue in un tratto falsopiano per un paio di chilometri, ignorando un sentiero sulla sinistra al km 10: il toponimo del posto è “Paglierino”, prima di proseguire nuovamente con pendenze più aspre.
Al km 11,2 si giunge a un quadrivio di sentieri: si dovrà imboccare quello sulla sinistra, che condurrà alla discesa in località “Punta d’Aranci”, prima di riprendere a salire e arrivare alla massima altitudine dell’escursione, al km 11,5. Gli amanti delle discese incontreranno subito dopo una discesa discretamente tecnica; al km 12,1 ignorate il sentiero che inizia sulla destra e proseguite in discesa fino a giungere a una biforcazione (km 12,2), prendete a sinistra scendendo per la ripida discesa spesso in roccato, transitando a lato alla base della “Rocca di Santa Lena”; al km 13,4 altra biforcazione da superare mantenendo la destra. Al km 16,2, infine, ultimo bivio da prendere a sinistra per dirigersi verso una rampa cementata in forte pendenza; a destra, la presenza di alcuni ruderi. Si è ormai nelle vicinanze di Pentedattilo, dove si giungerà dalla parte alta del paese (km 17). Per rientrare a Melito di Porto Salvo, partenza di questa nostra risalita verso Pentedattilo, si proseguirà per la Strada Provinciale asfaltata (via Musa) che in discesa porterà in via Annà in circa 4 km. Questa parte finale, di rientro verso Melito, può intendersi come l’alternativa adatta a tutti, per raggiungere Pentedattilo in bici da corsa o in mtb senza affrontare tratti di sterrato, e ammirare le bellezze del borgo jonico. Tecnicamente il sentiero presenta difficoltà medio-alta; con fondo sabbioso, ciottoloso ed argilla in foglie compatta, che permette una buona aderenza dei copertoni, ma che presto si trasforma in una massa tenace e appiccicosa se affrontato durante la pioggia. Qualche difficoltà lungo la ripida discesa a causa del terreno ciottoloso, a volte instabile a seguito di violenti fenomeni atmosferici. E’ un percorso da vivere in tutte le sue sfaccettature; un’occasione per poter dire: «Anch’io c’ero».
Cosa offre la Natura
L’intero Aspromonte, si presenta a chi vi si addentri come un enorme ginepraio di strapiombi, forre, macchia mediterranea intricata e contorta. Un dedalo di rocce e vegetazione nel quale sanno districarsi bene solo gli abitanti del luogo, unici conoscitori di ogni sentiero o angusto passaggio. Spesse volte, pur di riuscire a perlustrare i recessi più remoti ci si deve affidare all’elicottero. Questa montagna ha più volti, tra i tanti anche quello delle lande semidesertiche delle bassure del suo cuore nel versante jonico, proprio come il sentiero della seconda tappa che termina nella sua parte avventurosa a ridosso dell’antico borgo medievale di Pentidattilo. Il tratto iniziale del sentiero, alla foce della fiumara S.Elia, ne segue l’alveo di sabbia ghiaiosa: è la fiumara che modella il volto del fondovalle, con i suoi continui apporti detritici a causa dell’enorme dissesto idrogeologico a monte, una delle caratteristiche geomorfologiche dell’intero Aspromonte. Paradossalmente è proprio questa peculiare caratteristica che riesce a regalarci panorami di incomparabile bellezza, con i suoi enormi monoliti e bastioni rocciosi, come quelli delle cinque dita della rocca che accoglie Pentedattilo, l’imponente Rocca di Santa Lena e Rocca Smiruddo. Queste formazioni rocciose si stagliano imponenti in una campagna dai toni contrastanti: la dolcezza dei profili delle gobbe collinari con un manto erboso che sembra rasato di fresco, viene interrotta bruscamente dalla mole aspra dei monoliti. Geologicamente si tratta di conglomerato e arenaria, sono visibili delle grosse pietre levigate incastonate nell’arenaria. Probabilmente, in epoche lontanissime, tali pietre furono trascinate per lunghi tratti nel corso di antichi fiumi e qui sottoposte all’azione abrasiva col fondo roccioso, poi depositate e inglobate nel fango limoso, in seguito solidificatosi. Il nostro sentiero serpeggia di collina in collina, fra antichi terrazzamenti coltivati a olivo, alcuni dei quali in evidente stato di abbandono a causa delle difficoltà di aprovvigionamento idrico. Nel mese di febbraio e marzo è possibile godere delle splendide fioriture del mandorlo e del pyrus pyraster, una varietà di pero selvatico adattatasi a vivere in condizioni di aridità con lunghi periodi di siccità. Tradizionalmente i contadini del posto innestano tali selvatici con delle varietà di pero edule, affinchè lo stanco viandante che si trovi a passare in queste zone possa cibarsene. Se vi capiterà di percorrere questi sentieri nel periodo primaverile, i vostri occhi non potranno non rimanere abbacinati dal luccichio della splendida esplosione dei fiori, dal bianco delle margherite, al giallo dei candelabri della ferula, all’arancione della calendula. Il periodo migliore per godere delle potenzialità offerte dalla zona, avrete capito che è senzaltro quello primaverile, laddove la torrida calura estiva non renda improponibile tale escursione. Alla partenza è consigliabile portare con sé una buona scorta d’acqua non essendovi sorgenti lungo il percorso. In ogni caso sono da evitare i mesi da giugno a settembre.
Storia, Arte e Cultura
“La visione è così magica che compensa di ogni fatica sopportata per raggiungerla: selvagge e aride guglie di pietra lanciate nell’aria, nettamente delineate in forma di una gigantesca mano contro il cielo mentre l’oscurità e il terrore gravano su tutto l’abisso circostante”. Così, Edward Lear, nel 1847 descrisse la magia e la bellezza della sua visita a Pentedattilo − cinque dita, dal greco pέnte daktύlios.
E’ cambiato poco da allora. Nel “palmo di una mano” di arenaria, con le “dita” protese verso il cielo, s’incastona il piccolo borgo di Pentedattilo: le casupole − per lo più abbandonate − la chiesa dei Santi Pietro e Paolo, la Chiesa della Madonna della Candelora, i ruderi del Convento dei Padri Domenicani e del castello. Percorrere il labirinto di vicoli e sentieri vuol dire scoprire suggestivi scorci animati, secondo la stagione, dai colori mediterranei di ginestre, mandorli, ulivi, agrumi e fichi d’india; vuol dire respirare aria pura, mentre lo sguardo si perde fino a incontrare: a sud l’Etna fumante; a est Bova, capitale dell’area grecanica; a nord la rocca di Santa Lena e a ovest gli spuntoni arenari di Prasterà, eremo di Sant’ Elia, monaco bizantino. Vero e proprio “paese fantasma”, duramente colpito in passato come in epoca recente da numerose calamità naturali (alluvioni, terremoti, frane) che hanno costretto gli abitanti a trasferirsi a valle. All’abbandono contribuirono anche leggende e storie di fantasmi, che si intrecciano al racconto di quella lontana notte del 1686, quando Pentedattilo fu teatro di una tragedia: la Strage degli Alberti. Al centro della vicenda, l’amore tra la marchesa di Pentedattilo Antonia Alberti e il barone di Montebello Bernardino Abenavoli; amore contrastato dal fratello di lei, don Lorenzo.
Questa storia, consumata all’interno del castello, ha dato origini a varie dicerie e fantasie popolari. Una di queste afferma che un giorno l’enorme “mano” si abbatterà sugli uomini per punirli della loro sete di sangue. Un’altra dice che le “dita” in pietra che sovrastano il paese rappresentano le dita insanguinate della mano del barone Abenavoli (“la mano del diavolo”, ndr). Un’altra, infine, narra che le sere in cui il vento è violento, tra le gole della montagna si riescono ancora a sentire le urla del marchese Lorenzo Alberti.
Oggi, si sta cercando lentamente e faticosamente di recuperare l’antico borgo di Pentedattilo, così da permettere lo sviluppo del turismo sostenibile e la promozione culturale.
Ogni estate, Pentedattilo è tappa fissa del festival itinerante “Paleariza”, importante evento della cultura grecanica nel panorama internazionale. Inoltre, tra agosto e settembre, ospita il “Pentedattilo Film Festival”, festival internazionale di cortometraggi che, come il “Paleariza”, rientra nelle attività di recupero e di promozione culturale di questo territorio.
Link:
Mappa dinamica
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Strutture turistiche