Reggio Calabria. Alle prime ore di oggi personale della Squadra Mobile di Reggio Calabria diretta da Renato Cortese, del Servizio centrale operativo di Roma e del Comando provinciale Carabinieri di Reggio Calabria diretto dal colonnello Pasquale Angelosanto, ha dato esecuzione all’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip presso il Tribunale di Catanzaro, Assunta Maiore, su richiesta del Procuratore capo Vincenzo Lombardo e del sostituto distrettuale Curcio a carico di:
- Antonino Lo Giudice, nato a Reggio Calabria, 52 anni;
- Luciano Lo Giudice, nato a Reggio Calabria, 37 anni;
- Antonio Cortese, nato a Bova (RC), 49 anni;
- Vincenzo Puntorieri, nato a Reggio Calabria, 29 anni
in quanto ritenuti responsabili:
i primi 3:
degli attentati ed atti intimidatori realizzati
- presso gli uffici della Procura Generale della Repubblica di Reggio Calabria in data 3 gennaio 2010
- nei confronti del procuratore generale Salvatore Di Landro in data 26 agosto 2010
- in pregiudizio del procuratore distrettuale antimafia Giuseppe Pignatone, in data 5 ottobre 2010
Vincenzo Puntorieri:
degli attentati consumati in data 3 gennaio 2010 e 26 agosto 2010
Il provvedimento è stato emesso sulla base delle risultanze investigative, a riscontro delle dichiarazioni del collaboratore di Giustizia Antonino Lo Giudice, che sono andate ad intrecciarsi con i dati estrapolati dalle attività tecniche e con gli accertamenti effettuati nell’immediatezza dei fatti delittuosi.
Le ordinanze sono state notificate in carcere dalla Polizia di Stato nei confronti di Antonino Lo Giudice e Antonio Cortese, già detenuti per reati associativi presso le strutture di Roma Rebibbia e Voghera, mentre Vincenzo Puntorieri è stato arrestato nella mattinata odierna a Reggio Calabria. Il Comando provinciale Carabinieri di Reggio Calabria, invece, ha notificato l’ordinanza a Luciano Lo Giudice, già detenuto presso il carcere di Lanciano per reati associativi.
Conferenza stampa fiume in Questura
I dettagli dell’indagine sono stati illustrati questa mattina nella sala “Nicola Calipari” della Questura dal procuratore capo di Catanzaro, Vincenzo Lombardo, nel corso di una conferenza stampa fiume alla presenza del Questore Carmelo Casabona, del comandante provinciale dei Carabinieri, colonnello Pasquale Angelosanto, del comandante del Reparto operativo dell’Arma, tenente colonnello Carlo Pieroni, del capo della Squadra Mobile Renato Cortese e del suo vice Luigi Silipo.
“Un episodio sconvolgente non solo per la città di Reggio Calabria – ha ricordato il Questore – ma anche a livello nazionale e internazionale, perché riguarda efferati attentati a palazzi di giustizia, al dott. Di Landro, e al lanciarazzi che doveva sparare contro il palazzo della Procura della Repubblica. Le indagini finalmente hanno dato un volto, un nome e un cognome, e un movente, un’azione dei Lo Giudice”. A scatenare la strategia dinamitarda, infatti, sarebbe stato il fatto che Lo Giudice ha subito l’arresto e il sequestro di beni per un valore di 9 milioni di euro. Una mossa dello Stato vissuta dal diretto interessato come un’aggressione verso la sua persona, proprio lui che riteneva di essere immune. E’ stato questo – ha concluso il Questore – a far scattare il meccanismo”.
La parola quindi al Procuratore Lombardo: “Le investigazioni sostanzialmente ci hanno consentito di far luce su programmazione ed esecuzione di tutti e tre i fatti gravissimi occorsi qui a Reggio Calabria in danno della Procura reggina. I tre attentati sono accomunati da una identità di causa e movente e sono stati realizzati, sulla base delle risultanze investigative, dagli stessi soggetti, ad esclusione dell’episodio del lanciarazzi, per il quale è stata esclusa la gravità indiziaria nei confronti di Vincenzo Puntorieri”.
Questi i ruoli indicati da Lombardo: Antonino Lo Giudice quale “programmatore e organizzatore”, suo fratello Luciano Lo Giudice quale “istigatore e beneficiario”, Cortese e Puntorieri quali “esecutori materiali”.
Inizialmente le indagini avevano preso un’altra pista, ha ricordato lo stesso Lombardo in riferimento all’indagine Epilogo, in seguito alla quale 4 giovani arrestati erano stati anche indagati per la bomba alla Procura Generale.
“Per fortuna – ha proseguito Lombardo – il 29 settembre inizia la collaborazione di Consolato Villani alla quale segue quella di Antonino Lo Giudice, che consente agli investigatori, Carabinieri e Squadra Mobile, e nella seconda fase soprattutto Squadra Mobile, di compiere indagini molto serie e puntuali che ci hanno convinto della bontà delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.
L’indagine muove dall’arresto di Luciano Lo Giudice, il fratello del neo collaboratore di giustizia. “I due fratelli – prosegue Lombardo – parlano continuamente della necessità di farsi sentire e di rivolgersi a soggetti istituzionali con i quali vi erano stati rapporti, che allo stato dobbiamo ritenere leciti, che a loro giudizio suscitavano l’aspettativa di ritenersi immuni. E invece trovano le porte chiuse, di qui la reazione”.
Antonino Lo Giudice, interrogato dagli inquirenti, ha indicato Antonio Cortese quale persona esperta della materia e di averlo incaricato di collocare l’ordigno, e dice anche di sapere che Cortese si è fatto aiutare da un ragazzo di Arghillà, poi individuato dagli investigatori in Vincenzo Puntorieri.
Lo scooter della bomba alla Procura: un Honda SH300
justify;”>Quanto allo scooter utilizzato per compiere l’attentato alla Procura Generale, le prime investigazioni si erano mosse nei confronti della cellula del clan Serraino, oggetto dell’operazione Epilogo, poiché uno degli indagati era stato trovato in possesso di uno scooter analogo. Ebbene gli investigatori nel prosieguo delle indagini, hanno trovato un altro esemplare di Honda SH300, che si trovava prima nella disponibilità di Puntorieri, poiché acquistato da sua madre, al 3 gennaio sarebbe stato nella disponibilità di Antonio Cortese, e successivamente è stato ceduto a un terzo, e successivamente ad altra persona ancora. Il mezzo a due ruote questa notte è stato sequestrato insieme ad alcuni indumenti che secondo gli inquirenti potrebbero essere interessanti.
La telefonata tra fratello e sorella di Antonio Cortese
Ma vi sono anche altri elementi raccolti nell’indagine, e che il procuratore Lombardo ha voluto puntualmente rappresentare agli organi di stampa.
Una “interessantissima” telefonata che gli inquirenti ritengono riferibile all’attentato del 3 gennaio e che interviene tra il fratello di Antonio Cortese, Paolo Sesto Cortese e la sorella che abita a Napoli. La sorella, nel commentare il fermo cui è stato sottoposto il fratello Antonio, dice a Paolo Sesto una frase ritenuta fondamentale. «Noi, ha precisato Lombardo, la intendiamo così, la sorella dice “no lui c’entra perché è venuto qui dopo i fatti di Reggio Calabria, ha visto le immagini in televisione e ha detto che uno era lui”».
Le confidenze di Luciano Lo Giudice a un detenuto siciliano
A riscontrare le dichiarazioni di Antonino Lo Giudice, vi sono poi le confidenze che Luciano Lo Giudice fa in carcere a un detenuto siciliano, Luigi Rizza, interpretate come una confessione in epoca precedente all’inizio delle collaborazioni di Villani e di Lo Giudice, quando nessuno poteva pensare che dietro gli attentati vi fossero proprio i Lo Giudice.
Il detenuto siciliano infatti ha raccontato che alla sua domanda “ma tu che cosa mi dici dell’attentato a Reggio Calabria?”, Luciano Lo Giudice avrebbe risposto che “è cosa nostra”, attribuendosi in sostanza la paternità del delitto.
Un impiegato insospettabile: Vincenzo Puntorieri
Vincenzo Puntorieri è un impiegato insospettabile, 29enne di Arghillà, lavora in un negozio di vendita e noleggio di motocicli. Puntorieri era sconosciuto alle forze dell’ordine, incensurato, non risulta legato alla criminalità organizzata, tanto meno a cosche di ‘ndrangheta. A inguaiare il giovane impiegato sarebbe stata l’amicizia personale, fraterna, con Antonio Cortese. “Puntorieri ha un legame molto stretto con Antonio Cortese – ha chiarito il capo della Mobile – è Cortese che lo ha coinvolto ed utilizzato”.
A conferma degli indizi sul giovane impiegato, gli investigatori citano il contenuto di una telefonata intercettata tra i due. Puntorieri telefona da una cabina telefonica pubblica al numero privato in Romania, dove si trova Cortese, il quale sta per fare rientro in Italia. Cortese chiede all’amico di venirlo a prendere alla Stazione, e gli chiede “ma tu, ti stanno cercando?”. Il giovane risponde di no, e Cortese replica così “tranquillo, per me tu non esisti”.
Il giovane invece entra nell’inchiesta, e gli inquirenti appurano che la notte dell’attentato a casa Di Landro, Puntorieri è freneticamente in giro e fa due volte il tragitto Villa San Giovanni – Palmi. “L’esplosivo utilizzato a casa del procuratore generale – annota Lombardo – è il primex, un esplosivo da cava del quale era stato fatto un sequestro nel 2009 e nel 2010 proprio nel tratto autostradale di Palmi e Gioia Tauro. Alle 00.46 di quella notte, sempre ricostruendo i suoi movimenti tramite le celle agganciate dal suo telefonino cellulare, il giovane rientra di nuovo in città, e aggancia la cellula di Arghillà, dove abita.
La ricostruzione degli spostamenti tramite i telefonini cellulari
Sempre con la stessa tecnica, gli investigatori della Mobile hanno avuto prova della presenza di Cortese e di Puntorieri in città la notte dell’attentato alla procura generale, e la mattina dopo la conferma dello spostamento di Cortese a Napoli, dove viva sua sorella.
La telefonata al 113 dalla nicchia telefonica di via Cardinale Portanova
La telefonata anonima che annunciava un “regalo” per Giuseppe Pignatone, procuratore distrettuale antimafia, è partita dalla nicchia telefonica di via Cardinale Portanova. In seguito a quella telefonata fu rinvenuto un lanciarazzi adagiato su un’aiuola lungo la bretella del Calopinace, di fronte al Cedir, il palazzo dove ha sede la procura. Da accertamenti peritali sulla telefonata è stata riconosciuta “con elevatissima probabilità” la voce di Antonio Cortese quale autore della telefonata al 113. Ma vi è di più. Quella telefonata è stata effettuata grazie a una scheda telefonica acquistata a Milano. E proprio nella città della Madonnina si trovavano, il 4 ottobre, di rientro dal Marocco dove erano andati partendo da Reggio Calabria il 30, Antonino Lo Giudice e Antonio Cortese.
L’autovettura Chevrolet Matiz
Gli inquirenti, grazie alle telecamere di videosorveglianza sparse in città, puntano gli occhi su un’autovettura Chevrolet Matiz che fa un percorso ritenuto “particolarmente significativo” la notte tra il 4 e il 5, cioè la notte del lanciarazzi. La piccola utilitaria muove attraverso le bretelle, va nella zona di San Giorgio, esce dal punto in cui era collocato il lanciarazzi, poi va verso via Cardinale Portanova, si ferma nei pressi della nicchia telefonica da cui è partita la telefonata al 113, e poi riparte, scende e arriva al lungomare, quindi Piazza Indipendenza, e si avvia verso la Stazione, arrivando nuovamente alle bretelle del Calopinace e poi allo stadio. Un’auto dello stesso modello, una Chevrolet Matiz, è stata sequestrata a ottobre ad Antonio Cortese, davanti alla sua abitazione.
I rapporti coi magistrati
Su questo punto lo stesso procuratore Lombardo evidenzia come Lo Giudice, e del resto è la stessa osservazione mossa dal gip che ha firmato l’ordinanza, non è stato del tutto collaborativo. Antonino Lo Giudice, infatti, ha spiegato il movente degli attentati come la risposta al tentativo di avvicinare dei magistrati, che secondo lui e suo fratello, in virtù di pregressi rapporti, avrebbero potuto aiutarli. Rapporti pregressi che Lombardo spiega così: “C’è un quadro di pregressi contatti leciti”.
Aiuto che invece non si è mai concretizzato, e da qui la risposta dinamitarda nel tentativo forse di intimidire i magistrati per ottenerne l’aiuto. Tant’è che nessun magistrato figura quale indagato nell’inchiesta, nessuno è stato nemmeno sentito. Questo perché Lo Giudice non ha fatto i nomi dei magistrati che secondo lui e suo fratello avrebbero potuto/dovuto aiutarli. Insomma, non solo non è stata provata alcuna falla nel sistema giudiziario, ma lo stesso collaboratore non ha nemmeno fornito i presunti nomi. E’ così che Lombardo ha dichiarato che “la magistratura ha risposto adeguatamente a tentativi di intimidazione e infiltrazione”.
La “tragedia” orchestrata dalla cosca Lo Giudice
Dopo la prima “botta”, nel vero senso della parola, quando hanno avuto conferma che per l’attentato alla Procura Generale non era stata in alcun modo messa sotto osservazione la propria cosca, i Lo Giudice avrebbero maturato la consapevolezza di poter cogliere i classici “due piccioni con una fava”. Da un lato intimidire quei magistrati che secondo loro li avrebbero dovuti aiutare e che invece non si erano nemmeno fatti trovare al telefono nel momento del bisogno, dall’altro far ricadere agli occhi degli investigatori la colpa della strategia dinamitarda sulle altre cosche della città, giovandosi così del loro indebolimento. Una “tragedia”, in perfetto stile ‘ndranghetistico, che però questa volta non è andata a buon fine. E forse è anche questo il motivo, una volta in manette e una volta conscio di rischiare di essere “smascherato” agli occhi delle altre consorterie criminali, che potrebbe avere influito nella determinazione di Antonino Lo Giudice di collaborare con la Giustizia. Un modo, tutto sommato indolore, per non passare da “tragediatore” a “tragediato“.
Fabio Papalia