La “guerra valutaria” raggiunge l’apice della tensione

La “guerra valutaria” ha raggiunto in queste ore il massimo della tensione, infatti, quando il corso di una divisa segue l’andamento di una valuta che ne è il riferimento, è la principale causa di tutti quegli squilibri che si ripercuotono a livello mondiale partendo dall’economia dei singoli paesi.
Pertanto attaccare una singola valuta può destabilizzare finanziariamente più paesi che ne detengano liquidità e la utilizzino negli scambi commerciali internazionali.
Inoltre, l’avvio di politiche nazionali non concordate ma rivolte a tutelare la singola economia con obiettivi dettati dalle esigenze contingenti può diventare un fattore ad alto rischio di default.
In Europa la crescita resta al palo eccetto l’economia della Germania, un chiaro segno che le “toppe” rammendate dopo il 2008 stanno cedendo nuovamente e che l’economia malgrado la liquidità immessa nel sistema finanziario europeo ha esaurito la sua forza propulsiva.
Resta il problema principale della governance economica europea che ha maglie troppo larghe, rivolta più ad una politica accomodante che a mantenere inalterato il patto di stabilità.
Intanto, dopo il taglio di Standard & Poor’s al debito pubblico USA, per la prima volta dopo 70 anni, la chiusura dei mercati lunedì è stata all’insegna del crollo, da registrarsi anche lo scontro tra i funzionario del Dipartimento del Tesoro USA e l’agenzia di rating che ha difeso il proprio giudizio, mettendo in evidenza l’inconcludenza delle scelte politiche del Congresso americano, che non ha adottato alcun provvedimento serio. La stessa Casa Bianca però potrebbe manovrare e sfruttare questo downgrade che ha scatenato i timori della Cina, che è il primo creditore degli States con investimenti in titoli americani per 1.160 miliardi di dollari, che teme sempre più lo scatenarsi di un effetto domino a livello planetario.
Il downgrade dei conti pubblici è una seria cesura per la corsa di Barack Obama verso il secondo mandato, ma il rischio di una nuova recessione è la preoccupazione maggiore che attanaglia un paese che sempre più, è avviato sul sentiero del tramonto.

Fabio Arichetta

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