Reggio Calabria. Non si arresta l’azione di contrasto ai patrimoni illecitamente accumulati disposta dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria. Nella mattinata odierna, sotto la direzione del procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Ottavio Sferlazza, del procuratore aggiunto Michele Prestipino Giarritta e del sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria – Direzione Distrettuale Antimafia – Stefano Musolino, i finanzieri del G.I.C.O. del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Reggio Calabria e i carabinieri del ROS e del Comando Provinciale dei Carabinieri di Reggio Calabria, su disposizione del presidente del Tribunale di Reggio Calabria/Sezione Misure di Prevenzione, Kate Tassone, hanno sottoposto a sequestro società, beni mobili, immobili, titoli e denaro contante per un ammontare pari a 16,5 milioni di euro nei confronti del noto politico bagnarese Santi Zappalà e dei familiari conviventi. Con tale operazione le Fiamme Gialle ed i Carabinieri hanno aggredito – nel concreto – l’imponente patrimonio societario e finanziario riconducibile – direttamente e/o indirettamente – al politico calabrese, risultato, secondo gli inquirenti, assolutamente sperequato ed incoerente con i redditi dichiarati da Zappalà e dal suo nucleo familiare. Nell’ambito della nota Operazione “Reale 3”, erano state intercettate plurime conversazioni a casa di Giuseppe Pelle, tra lo stesso e Santi Zappalà. Più in particolare, era emerso come il politico bagnarese, nel periodo antecedente le consultazioni elettorali per il rinnovo del Consiglio Regionale della Calabria, tenutesi il 28 e 29 marzo 2010, avesse intrattenuto rapporti con la famiglia mafiosa Pelle “Gambazza”, al fine di raggiungere un accordo politico-mafioso che garantisse “…una straordinaria affermazione elettorale….per arrivare sicuramente nei primi tre…” di Zappalà, come poi realmente avvenuto. Zappalà, per tali fatti, nello scorso mese di giugno, è stato condannato, in primo grado, dal Tribunale di Reggio Calabria, per il delitto di corruzione elettorale, aggravata dall’art. 7 Legge 203/1991, in relazione ai colloqui – avuti il 27 febbraio 2010 – con il boss Giuseppe Pelle, condannato nel medesimo procedimento penale per il delitto di partecipazione ad associazione mafiosa e corruzione elettorale. Ancora, nello scorso mese di ottobre, dopo l’esecuzione di penetranti accertamenti bancari, la Direzione Distrettuale Antimafia ha disposto il sequestro dell’ingente somma di 7,5 milioni e mezzo di euro, di cui 7,3 depositati sui conti correnti del solo Santi Zappalà, a fronte di redditi dichiarati nell’ultimo decennio pari a circa 1 milione. Oggi, quindi, al termine di complesse ed articolate investigazioni di natura economico patrimoniale, consistite in accertamenti bancari, fiscali e contabili, che hanno consentito di accertare come Zappalà, secondo gli investigatori, abbia potuto disporre, nel tempo, di provviste finanziarie in alcun modo giustificate dalla capacità reddituale propria e del proprio nucleo familiare, sono stati sequestrati:
quote sociali, capitale sociale e patrimonio aziendale della società “Fisiokinesiterapia Bagnarese S.r.l.” – operante nel settore delle attività “professionali paramediche indipendenti”;
quote sociali, capitale sociale e patrimonio aziendale della società “Ileca Charter s.a.s. di Zappalà Carmela & C.” – esercente l’attività di “noleggio senza equipaggio di imbarcazioni da diporto”;
4 unità immobiliari site in Bagnara Calabra, corrispondenti alla dependance del noto Castello Ruffo di Bagnara Calabra;
3 autovetture;
un’ imbarcazione da diporto a motore Prinz 54 Coupé di 15,21 metri, dotata di 2 motori;
21 rapporti di conto corrente e deposito titoli, aventi saldo attivo pari a circa 7,5 milioni di euro;
per un valore totale di stima pari a 16,5 milioni di euro.
L’attività odierna- nel solco della strategia di contrasto da tempo avviata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria – individua nell’aggressione ai patrimoni illecitamente accumulati lo strumento più efficace per far perdere alla ‘ndrangheta ed ai soggetti comunque vicini alla medesima il prestigio all’interno del proprio ambiente criminale, privandola del fondamentale strumento di condizionamento delle realtà socio economiche, tradizionalmente occupate e soffocate dall’indisturbata presenza delle loro risorse e del loro controllo.