Reggio Calabria. Anche quest’anno gli animalisti si sono mobilitati al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla consueta strage di neonati che si consuma nei giorni antecedenti la Pasqua; una protesta pacifica che i volontari dell’Associazione Reggio Veg hanno organizzato per informare i consumatori.
Erano 60 i partecipanti al flash mob silenzioso che si è svolto nei pressi della chiesa di San Giorgio al Corso: con il volto coperto da una maschera bianca spruzzata di rosso acceso – tanto da richiamare automaticamente alla mente gli schizzi di sangue (innocente) versato – e mostrando ciascuno un cartellone informativo. Sono rimasti immobili per un’ora intera sfidando l’indifferenza, e gli scherni, dei passanti che – sebbene a primo impatto si dimostravano incuriositi dalle insolite quanto inquietanti maschere – si sono per lo più abbandonati a sciocchi commenti di natura gastronomica e non hanno probabilmente ben compreso il senso del messaggio; è vero infatti che la manifestazione è stata organizzata da un’associazione che sposa un particolare regime alimentare ma l’intento della manifestazione informare sulle gratuite brutalità a cui sono sottoposti gli animali.
Si contano – purtroppo – in meno di una decina le persone che – invece – hanno voluto chiarimenti, o sono scappate con la mano sulla bocca, dopo essersi soffermate a guardare il video sulla macellazione che scorreva su un tablet.
Induce, invece, tristemente a riflettere il generalizzato comportamento superficiale dei più che frettolosamente, passando e ripassando del tutto indifferenti, non si sono nemmeno domandati la ragione per la quale un gruppo di persone manifestava…
Forse, infatti, non tutti sanno che l’agnellino, protagonista assoluto dei pranzi pasquali, viene ucciso ad appena 30 giorni di vita: un cucciolo concepito con una tempistica ad hoc per poter essere macellato nei giorni antecedenti la Pasqua. Subito dopo la nascita rimangono nelle stalle con le madri, ma vengono tenuti lontani dai pascoli, impedendogli di brucare l’erba, con l’unico scopo di mantenere la loro carne più tenera.
I piccoli poi vengono precocemente strappati alle loro madri per venire imbarcati sull’autoarticolato – per il loro unico ed ultimo viaggio – che li porterà dritti al macello.
Come se non fosse sufficientemente grave il trauma per il precoce distacco dal caldo abbraccio materno, i piccolini dovranno anche affrontare un viaggio, spesso, lungo e difficile. Nonostante il fatto che la normativa per il trasporto degli animali preveda delle condizioni tali da rendere il viaggio quanto più possibile “confortevole”, nelle giornate di maggiore “traffico”, è abbastanza usuale che dai controlli effettuati sui mezzi si riscontrino numerose violazioni che vanno dalla contestazione per il numero eccessivo di cuccioli stipati per area di trasporto, alla mancanza delle soste minime previste – addirittura – non solo per la somministrazione del cibo ma anche per l’abbeveraggio, per non contare le pessime condizioni igienico-sanitarie relative alla mancanza del quantitativo sufficiente di lettiera.
Per i sopravvissuti ai viaggi la prospettiva che si apre è ancora peggiore: il macello, dove per l’esiguità del tempo a disposizione rispetto al numero degli animali da abbattere ecco che – spesso si è riscontrato – si soprassiede, con troppa superficialità, ai prescritti metodi di stordimento.
All’arrivo al macello i piccoli vengono smistati e pesati. Non bisogna dimenticare che gli ovini sono prede e come tali hanno un sistema di percezioni delle emozioni estremamente sensibile e – conseguentemente – sono più inclini alla paura: ecco che durante le “operazioni” di smistamento tra un recinto e l’altro, gli addetti incitano gli agnellini con fischi, grida e colpiscono le recinzioni con i bastoni nel tentativo di fare convergere il gregge da una zona all’altra, gli ovini, che sono soliti a muoversi serenamente solo in assenza di forti rumori o suoni acuti, appaiono terrorizzati; è chiaro che anche il contesto del tutto sconosciuto, lontano dalla serenità della stalla, contribuisce ad accrescere lo stress da distacco dall’ambiente familiare da cui sono stati strappati.
Appare abbastanza chiaro che all’interno dei macelli la frenetica attività nelle giornate precedenti le festività pasquali, sia per gli operatori che per gli animali, non è in alcun modo differente dalle altre giornate delle ordinarie mattanze, ma le considerazioni che gli animalisti portano avanti sono relative, in primo luogo, alla giovane età degli animali – che vengono macellati ancora neonati – ed al fatto che, spesso, per fare fronte in tempi quanto più brevi possibili alla richiesta del mercato, i cuccioli vengono uccisi senza approntare le dovute cautele, previste per legge, finalizzate a minimizzare la sofferenza degli stessi.
Ci sono numerosi reportage che denunciano l’irregolarità delle diverse fasi che precedono la macellazione: a partire dalla pesatura, che dovrebbe essere, poco cruenta e il cucciolo dovrebbe essere manipolato il meno possibile, invece, la trazione – che viene effettuata sui carpi, dovuta al peso del corpo, e sull’articolazione scapolo-omerale – provoca inevitabilmente un dolore lancinante.
Alla pesatura segue la fase dello stordimento, laddove gli strumenti per l’elettronarcosi – se vengono usati – funzionano poco e male tanto che i ripetuti tentativi hanno, in alcuni casi, portato addirittura ad incendiare la pelliccia dell’agnellino. Ecco che, a questo punto, i cuccioli vengono uccisi mediante iugulazione: la recisione delle vene giugulari.
Subito dopo l’agnellino, per favorire la fuoriuscita di sangue, viene appeso ad un uncino per una delle zampe posteriori, ma il cuore continua a pompare e la morte non sopraggiunge prima di 2-10 minuti …
La brutalità e la trascuratezza degli operatori, distaccati di fronte ad un lavoro oramai di routine, fa si che gli agnellini assistano coscienti, terrorizzati ed impotenti alla pratica di sgozzamento e di morte per dissanguamento dei loro simili.
Eppure la tradizione di preparare l’agnello per il pranzo di Pasqua non ha alcuna argomentazione teologica sostenibile, posto che il principio di base della religione Cristiana si fonda sulla generale idea di amore e compassione verso ogni essere vivente. Già nell’Antico Testamento, infatti, si trovano testimonianze di profeti che si oppongono a questa crudele tradizione che è stata ereditata dall’antica storia ebraica, probabilmente il frutto della convergenza di interessi socio-politici dovuti alla necessità di integrare religioni e popolazioni. Nelle parole di Geremia (Ger. 7,22), infatti, il riferimento al sangue dell’agnello è solo simbolico, come per tanti altri elementi biblici: quasi certamente, infatti, il sangue dell’Unico e Vero Agnello di Dio si riferisce a Gesù Cristo in persona. E se le interpretazioni non fossero abbastanza convincenti i testi di Isaia (1.5) recitano Disse il Signore: “Mi avete sacrificato un gran numero di ovini e di bovini, ma a me non da piacere il sangue dei manzi, degli agnelli o dei capretti; quando voi alzate le mani, Io distolgo gli occhi da voi e quando pregate non vi ascolto, perché le vostre mani sono sporche di sangue.”
Tra l’altro non si deve assolutamente dimenticare che, con l’avvento del Cristianesimo, molte antiche tradizioni pagane vennero assorbite ed incorporate alla nuova religione. Anticamente, infatti, le celebrazioni annuali erano spesso legate al susseguirsi del cambio delle stagioni ed alle attività della terra, tanto è vero che in tutte le antiche religioni si ritrovano giorni di festa che – con diverse modalità di celebrazione – ritrovano un comune denominatore nel sabbat Ostara (chiamato anche Eostre, Eastre oppure Eostar) una festa di origine germanica che prende il nome dalla dea odinista Eostre, patrona della fertilità. La celebrazione, mano a mano, prese piede in tutta Europa. Per gli antichi Greci, ad esempio, i festeggiamenti di primavera, che presero il nome di Estia, erano legati al mito di Persefone, la dea della terra, che tornando dal mondo sotterraneo simboleggiava il rinascere della vita in primavera dopo la desolazione dell’inverno.
Anche nelle tradizioni anglosassoni si ritrovano tracce di celebrazioni organizzate in corrispondenza dello stesso periodo della fase lunare.
Con la diffusione del Cristianesimo la festa di Ostara venne assorbita dalla Pasqua. La nuova festa però, ancora priva di un nome, in certe lingue assimilò anche la denominazione della vecchia festa. È pacifico che determinati elementi siano una concreta eredità del passato: ancora oggi, infatti, in inglese la Pasqua è chiamata Easter, e in tedesco Ostern. Al di là della denominazione però molti altri elementi della tradizione antica vennero inglobati dalle festività attuali, il coniglio pasquale, simbolo di fertilità e prosperità e l’uovo, simbolo dell’embrione primordiale da cui scaturisce l’esistenza (concetto di uovo cosmico già presente in antichi miti della creazione della zona mediterranea ed in molte altre culture extra europee). Un altro elemento che collega direttamente l’attuale Pasqua al retaggio pagano è la ballerina collocazione temporale che sposta la data della festa di anno in anno: come è noto il giorno in cui ricorre la Pasqua, contrariamente ad altre feste, non è fisso, la modalità attraverso cui si calcola questa data – la domenica dopo il primo plenilunio dall’Equinozio di primavera – indica in modo indiscutibile le origini culturali di questa festa: la festa di Pasqua è una celebrazione che trae la sua origine dalla relazione intercorrente tra le attività agricole e il fenomeno di rinascita della primavera, un giorno in cui si celebra il risveglio della natura dal torpore invernale: il giorno in cui la natura risorge alla vita. Questa lettura, tra l’altro, si allinea perfettamente con l’idea cristiana della Pasqua: la rinascita! … e – chiaramente – non ci si spiega come sia possibile che nel giorno in cui, per antonomasia, si festeggia la vita lo si faccia a spese del brutale assassinio di migliaia di cuccioli innocenti.
Monica Bolignano