Reggio Calabria. Alle prime ore della mattinata odierna, al termine di complesse ed articolate indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, gli investigatori della Squadra Mobile di Reggio Calabria (diretta dal primo dirigente Francesco Rattà e dal suo vice Fabio Catalano) e del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, hanno dato esecuzione al decreto di fermo di indiziato di delitto n. 7363/2012 R.G.N.R., emesso dalla Procura reggina nei confronti dei seguenti 14 soggetti, ritenuti presunti responsabili, a vario titolo, dei delitti di partecipazione all’associazione mafiosa denominata ‘ndrangheta (ed in particolare – tra le altre – alle articolazioni territoriali denominate cosche Alvaro e Crea, inserite nel mandamento tirrenico della provincia di Reggio Calabria), favoreggiamento personale del latitante Giuseppe Crea classe 1978 e di procurata inosservanza di pena e favoreggiamento personale nei confronti del latitante Giuseppe Ferraro classe 1968, catturati in data 29 gennaio 2016 dagli operatori delle strutture investigative della Polizia di Stato, nonché di favoreggiamento personale nei confronti del latitante Antonio Cilona classe 1980, arrestato dalla Squadra Mobile il 5 gennaio 2016:
- SCUTELLA’ Achille Rocco, nato a Cinquefrondi (RC) il 12.10.1988;
- FACCHINERI Domenico, nato a Cinquefrondi (RC) il 07.12.1992;
- FACCHINERI Luigi, nato a Cinquefrondi (RC) il 07.02.1994;
- MORFEA Elio Arcangelo, nato a Cinquefrondi (RC) il 12.05.1995;
- CUTRI’ Antonio, nato a Reggio Calabria il 01.05.1987;
- TRIMBOLI Giuseppe Antonio, nato ad Oppido Mamertina il 09.08.1961;
- GARZO Pietro, nato a Palmi (RC) il 11.07.1976;
- GARZO Annunziato, nato a Reggio Calabria il 11.07.1983;
- ROSACE Vincenzo, nato ad Oppido Mamertina (RC) il 30.09.1983;
- MELITO Pietro, nato a Palmi (RC) il 17.04.1989;
- VITALONE Pasquale, nato a Reggio Calabria il 01.02.1990;
si sono sottratti alla cattura e sono attivamente ricercati:
- CREA Francesco Antonio, nato a Rizziconi (RC) il 10.10.1962;
- CREA Mario Luciano, nato a Taurianova (RC) il 20.10.1989;
- FACCHINERI Girolamo, nato a Cittanova (RC) il 19.07.1966;
Le indagini condotte dalla Squadra Mobile di Reggio Calabria e dal Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato hanno anche consentito di individuare e disarticolare la rete dei soggetti che per anni hanno protetto la latitanza di Crea e Ferraro e consentito agli stessi di poter continuare a svolgere un importantissimo ruolo nel panorama ‘ndranghetistico della fascia tirrenica di questa provincia.
Le attività di ricerca dei latitanti hanno riguardato due distinti periodi temporali: il primo compreso tra la fine del mese di ottobre e la fine del mese di dicembre del 2014 ed il secondo compreso tra il mese di aprile del 2015 ed il 29 gennaio 2016, giorno della cattura di Crea e Ferraro.
Due latitanti catturati insieme in un covo
All’alba del 29 gennaio 2016, nell’entroterra di Maropati, nel reggino, la Polizia di Stato ha catturato i due latitanti della ‘ndrangheta calabrese, Giuseppe Crea, capo dell’omonima cosca operante a Rizziconi, ricercato dal 2006 e Giuseppe Ferraro, capo del clan Ferraro-Raccosta di Oppido Mamertina, latitante dal 1998, inseriti nell’elenco dei latitanti pericolosi del Ministero dell’Interno.
Il blitz è stato attuato al termine di alacri indagini condotte attraverso attività tipiche e atipiche di polizia giudiziaria, coordinate dai magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria.
L’azione, complessa, articolata e di eccezionale difficoltà operativa ha permesso di individuare – mimetizzato sulle ripidi pendici di un costone in agro di Maropati – il covo bunker dei due superlatitanti, dotato di ogni comfort, all’interno del quale venivano rinvenute e sequestrate numerose armi – alcune cariche e pronte all’uso – (8 pistole, 3 armi lunghe ed un kalashnikov), munizionamento di vario calibro, esplosivo, detonatori, nonché un monitor e alcune microtelecamere installate tra la fitta vegetazione, che consentivano la videosorveglianza all’esterno del nascondiglio.
La rete dei favoreggiatori dei tre latitanti – alcuni dei quali rispondono anche di partecipazione all’associazione mafiosa – è stata ricostruita dagli investigatori della Polizia di Stato nel corso di complesse indagini basate essenzialmente sugli esiti di molteplici intercettazioni telefoniche ed ambientali, di video sorveglianza e di servizi di osservazione e pedinamento, posti a fondamento del provvedimento di fermo di indiziato di delitto emesso, in via d’urgenza, dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Reggio Calabria sul presupposto dell’esistenza di un reale, specifico e concreto pericolo di fuga di alcuni indagati.
Le risultanze investigative acquisite dalla Polizia di Stato nel corso delle indagini, in relazione al contestato delitto di partecipazione all’associazione mafiosa denominata ‘ndrangheta, sono state adeguatamente corroborate da dichiarazioni rese da vari collaboratori di Giustizia (Bruzzese, Ascone, Maviglia, Albanese, Iannò), dichiarazioni testimoniali ed elementi probatori acquisiti da altri procedimenti e sentenze definitive e non definitive.
Ad Achille Rocco Scutellà, Francesco Antonio Crea, Mario Luciano Crea, Girolamo Facchineri, Antonio Cutrì, Elio Arcangelo Morfea, Giuseppe Antonio Trimboli, è contestato il delitto di cui all’art. 416 bis, commi I, II, III, V e VI per aver fatto parte dell’associazione mafiosa armata denominata ‘ndrangheta, operante sul territorio della provincia di Reggio Calabria, del territorio nazionale ed estero, costituita da molte decine di “locali”, articolata in tre mandamenti e con organo di vertice denominato “Provincia” ed, in particolare, delle articolazioni territoriali riconducibili – tra le altre – alle cosche Alvaro e Crea, inserite nel territorio compreso nella fascia tirrenica della provincia reggina, che si avvalgono della forza d’intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva, allo scopo di commettere, tra gli altri, delitti contro il patrimonio (estorsioni, danneggiamenti anche mediante l’uso di armi ed esplosivi, ricettazione, riciclaggio e reimpiego di denaro di provenienza illecita in attività economiche etc.), contro la pubblica amministrazione, contro la vita e l’incolumità individuale, di favoreggiamento di latitanti, violazioni della disciplina vigente per il controllo delle armi, munizioni e esplosivi, nonché di agevolare la latitanza degli esponenti apicali Giuseppe Crea e Giuseppe Ferraro.
Con l’aggravante dell’essere l’associazione armata e con l’aggravante della circostanza che le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo sono finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto, il profitto di delitti.
A Pietro Garzo, Annunziato Garzo, Vincenzo Rosace, Pietro Melito, Domenico Facchineri, Luigi Facchineri, Pasquale Vitalone, viene contestato il reato di favoreggiamento personale aggravato (p. e p. dagli artt. 81, comma 2, 110, 378 c.p. e 7 della L. n. 203 del 1991), perché, in concorso tra loro, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, poste in essere, anche in tempi diversi, in violazione di diverse disposizioni di legge, aiutavano Giuseppe Crea – capo, promotore e organizzatore dell’articolazione territoriale della ‘ndrangheta nota come cosca Crea – e Giuseppe Ferraro – capo, promotore e organizzatore dell’articolazione territoriale della ‘ndrangheta nota come cosca Ferraro-Raccosta – a sottrarsi alle ricerche dell’Autorità.
Le condotte di aiuto consistevano nel mettere a disposizione quanto necessario per consentire la protrazione dello stato di latitanza di Giuseppe Crea e Giuseppe Ferraro, la loro assistenza morale e materiale e la creazione, a tal fine, di una rete di supporto e di tutela.
Pasquale Vitalone è accusato di avere contribuito, unitamente a Achille Rocco Scutellà e Antonio Cutrì, a spostare i latitanti da un covo ormai non ritenuto più sicuro ad un altro la sera del 30.5.2015.
Ad Annunziato Garzo è altresì contestato il delitto di favoreggiamento aggravato (p. e p. dagli artt. 81, comma 2, 378 c.p. e 7 L. n. 203 del 1991),per avere aiutato – con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso – Antonio Cilona, presunto appartenente all’articolazione territoriale della ‘ndrangheta nota come cosca Santaiti di Seminara, a sottrarsi all’esecuzione dell’ordinanza cautelare della custodia in carcere emessa il 27.7.2015 dalla Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria nell’ambito del procedimento penale n. 321/11 RGNR mod 21 DDA (operazione di P.G. c.d. “Cosa Mia”), ovvero per aver messo a disposizione quanto necessario a protrarre lo stato di latitanza di Antonio Cilona, alla sua assistenza morale e materiale ed alla creazione a tal fine di una rete di supporto e di tutela ed in particolare, procurandogli e recapitandogli beni di prima necessità.
Le investigazioni – che hanno condotto all’eccezionale risultato della cattura dei tre latitanti sopra indicati – erano state caratterizzate da mirate attività di osservazione e pedinamento, supportate da un articolato reticolo di sistemi di videosorveglianza.
Straordinario rilievo nel corso delle indagini ha assunto l’impiego di sofisticate attrezzature tecniche che hanno consentito di individuare i mezzi di comunicazione tra i due latitanti – Giuseppe Crea e Giuseppe Ferraro – e i loro sodali, i quali erano soliti utilizzare frequenze radio VHF, libere in etere, rispetto ai più moderni sistemi basati sulla telefonia cellulare. L’intercettazione delle radio ha consentito di ricostruire, in tempo reale, non solo la gestione del menage dei latitanti in fuga, ma anche l’organizzazione dei loro appuntamenti con i familiari e/o terze persone.
La captazione delle comunicazioni radio consentiva di ottenere significativi risultati, poiché è stato possibile individuarne alcune che, abilmente decriptate dagli investigatori addetti alle intercettazioni della frequenza, hanno permesso di stabilire che le stesse intercorrevano fra alcuni componenti della famiglia mafiosa dei Crea di Rizziconi e Facchineri di Cittanova con i due latitanti Giuseppe Crea e Giuseppe Ferraro, intesi rispettivamente con i nomi di “Alberto” e “Ciccio”, con lo scopo provvedere al favoreggiamento della loro latitanza.
In quel periodo, compreso tra il mese di settembre e l’inizio del dicembre 2014, la latitanza dei ricercati è stata favorita da Girolamo Facchineri e da alcuni componenti della sua famiglia che provvedevano a garantire quanto necessario al loro sostentamento fino al 15 dicembre 2014, allorché Giuseppe Crea e Giuseppe Ferraro venivano repentinamente spostati in un altro covo gestito da altri soggetti.
In particolare, Giuseppe Crea, a seguito del ritrovamento della cimice all’interno dell’autovettura di Francesco Antonio Crea e dell’arrivo della Polizia di Stato a pochi metri dal covo gestito dai Fachineri, aveva considerato “bruciati” i soggetti di cui si è parlato finora, con i quali non intratterrà più conversazioni via radio.
Pochi mesi dopo mesi, le indagini della Squadra Mobile di Reggio Calabria si concentravano su Achille Rocco Scutellà, ritenuto l’elemento di continuità tra i vecchi ed i nuovi gestori della latitanza di Giuseppe Crea e Giuseppe Ferraro, anche per ragioni di carattere familiare.
Per cui, la seconda fase delle indagini è stata caratterizzata principalmente dalla ricostruzione certosina dei movimenti dei sodali attraverso le immagini restituite dalle telecamere via via installate lungo il percorso stradale che da San Procopio, Sinopoli, Gioia Tauro e Rosarno conduceva in agro di Maropati, laddove Giuseppe Crea e Giuseppe Ferraro sarebbero stati localizzati ed arrestati.
L’analisi degli spostamenti effettuati sempre con analoghe modalità esecutive ed accortezze, consentiva agli investigatori della Polizia di Stato di comprendere che Achille Rocco Scutellà aveva assunto un ruolo sempre più importante nella gestione della latitanza di Giuseppe Crea e Giuseppe Ferraro.
Lo Scutellà – figlio di Domenica Alvaro, sorella della moglie di Giuseppe Crea – è risultato in contatto con quest’ultimo sin dalla prima fase delle indagini quando è stato più volte riconosciuto come uno degli interlocutori via radio (con il nome in codice “L’allievo”) dei due latitanti, di cui eseguiva gli ordini.
Inoltre, faceva più volte visita a Crea e Ferraro anche presso l’ultimo rifugio che, tra l’altro, contribuiva materialmente a realizzare, e teneva i rapporti con gli altri presunti membri del sodalizio come Giuseppe Antonio Trimboli, Pietro Garzo ed i parenti più stretti di Giuseppe Ferraro, recandosi personalmente più volte presso la loro abitazione.
In ultimo, gestiva direttamente l’operato del cognato Antonio Cutrì, del cugino Elio Arcangelo Morfea – destinatari anche di contestazione associativa – e dell’amico Pasquale Vitalone.
Secondo gli inquirenti Achille Scutellà rappresenta l’elemento di congiunzione tra le famiglie Alvaro, a cui appartiene per diritto di nascita, e Crea, a cui appartiene per diritto acquisito e per scelta, il cui storico legame è stato formalmente ratificato attraverso il matrimonio della zia Maria Grazia Alvaro con Giuseppe Crea.
Il composito e fidato gruppo di fiancheggiatori dei latitanti sarebbe stato allestito sotto l’attenta regia di Giuseppe Antonio Trimboli, il quale avrebbe messo a disposizione il terreno (formalmente intestato ai figli) da cui partiva il sentiero lungo poco meno di 40 metri che portava al covo dei due latitanti presso una campagna di Maropati.
Più volte le autovetture in uso al Trimboli sono state riprese mentre percorrevano la strada sterrata, da sole od in compagnia di quelle in uso agli altri indagati come Pietro Garzo, Annunziato Garzo e Vincenzo Rosace, per poi arrestare la marcia proprio sulla piazzola di cui sopra da cui gli occupanti scendevano e sparivano nella fitta vegetazione in direzione del covo poi scoperto dalla Polizia di Stato il 29.01.2016.
Chi sono i tre latitanti
Giuseppe Crea, figlio del boss Teodoro, detenuto in regine di 41bis, capo indiscusso dell’omonimo sodalizio mafioso, era ricercato poiché destinatario dei seguenti quattro provvedimenti restrittivi emessi dall’Autorità Giudiziaria di Reggio Calabria, per associazione di tipo mafioso ed estorsione:
Ordinanza di custodia cautelare in carcere n. 62/2005, emessa in data 2 gennaio 2006 dal G.I.P. presso il Tribunale di Reggio Calabria per il reato p. e p. dagli artt. 81, 110, 629 2″ comma c.p. in relazione all’art. 628, 3 comma n. 3, c.p. e all’art.7 legge n .2031/01 e dall’art.7 legge 575/65.
La vicenda riguarda l’estorsione ai danni della società Devin S.p.a. che gestisce il centro commerciale “Porto degli Ulivi” di Rizziconi, nell’ambito della quale venivano coinvolti anche il padre Teodoro Crea ed il fratello Domenico Crea.
Domenico Crea veniva arrestato nel corso dell’operazione, mentre Teodoro Crea e Giuseppe Crea riuscivano a sottrarsi alla cattura. Le successive indagini venivano orientate da un lato alla cattura dei due latitanti Teodoro Crea classe 1939 e Giuseppe Crea classe 1978 e alla ricostruzione della rete dei loro fiancheggiatori, dall’altro ad individuare i contorni della vicenda Devin S.p.a. nonché ulteriori episodi estorsivi e di condizionamento della Pubblica Amministrazione di Rizziconi nell’aggiudicazione degli appalti nel contesto operativo dell’associazione mafiosa, localmente denominata cosca Crea, facente capo a Teodoro Crea che veniva catturato in stato di latitanza nel mese di luglio 2006.
Giuseppe Crea ha continuato ad essere latitante dal 2006 fino alla cattura del 29 gennaio 2016. Per tale delitto, i Crea sono stati condannati in secondo grado, Teodoro ad 8 anni e Giuseppe e Domenico a 7 anni di reclusione.
Ordinanza di custodia cautelare in carcere n. 9\07 OCC DDA, emessa in data 2 luglio 2007 dal G.I.P. presso il Tribunale di Reggio Calabria, per il reato p. e p. dall’art. 416 bis c.p. (cd. Operazione “Toro”), perché, in concorso con altre persone, faceva parte di un’associazione di stampo mafioso, che avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva, anche dovuta alle alleanze ed ai collegamenti stretti con altre famiglie mafiose della zona quali gli Alvaro di Sinopoli, i Santaiti di Seminara, i Rugolo ed i Mammoliti di Castellace commetteva delitti, acquisiva in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni appalti e servizi pubblici per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, nonché al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali. Nonché per il reato di cui agli artt. 110, 61, 81, 629, 2 comma (estorsione aggravata perché posta in essere da persone associate ex art. 416 bis) in relazione all’art. 628 comma 3, c.p. e 7 della legge n. 203/01 e art. 7 l. n. 575/65 perché, in concorso con altre persone, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso mediante la minaccia derivante dalla loro appartenenza alla nota omonima cosca mafiosa di Rizziconi (di cui è a capo Teodoro Crea padre di Domenico e Giuseppe) chiedeva a Rosario Vasta, Ferdinando De Marte e Pasquale Inzitari, rispettivamente amministratori il Vasta e soci De Marte e Inzitari, della Devin S.p.a., l’ indebito pagamento di una pluralità di somme di danaro.
Ordinanza di custodia cautelare in carcere n. 8305/10 R.G.N.R. – D.D.A., n. 5041/11 R.G.G.I.P. – D.D.A., n. 50/13 R.O.C.C., emessa in data 23/05/2014 integrata in data 29/05/2014, per i reati p. e p. dall’articolo 416/bis c.p. e dagli articoli 81, 110, 640 bis, 61 n. 6 e 7 C.P., 7 D. L. n. 152/91 (operazione Deus). Le indagini, condotte dalla Squadra Mobile, hanno portato alla luce i numerosi e pressanti tentativi di condizionamento della cosca Crea nei confronti del Sindaco di Rizziconi, finalizzati ad ottenere vantaggi ingiusti nel settore degli appalti pubblici, della vigilanza privata dell’azienda “Rizziconi Energia”, dell’assunzione di dipendenti pubblici (geometri del comune), della destinazione d’uso dei beni confiscati alla cosca. Di fronte alla resistenza del primo cittadino – che anziché piegarsi ai desiderata mafiosi ha scelto di collaborare segretamente con gli inquirenti della Polizia di Stato – la cosca Crea costringeva – con violenza e minaccia – alcuni consiglieri comunali di Rizziconi a rassegnare le dimissioni al fine di determinare lo scioglimento del consiglio comunale, cosa che effettivamente avveniva l’1 aprile 2011.
Ordinanza di custodia cautelare in carcere n. 7851/14 RGNR DDA (stralcio dal n. 8305/10 RGNR DDA) – n. 820/15 RGIP DDA 3 n.22/15 OCCC, emessa in data 21 gennaio 2016 dal GIP presso il Tribunale di Reggio Calabria nei confronti di Teodoro Crea classe 1939, Giuseppe Crea classe 1978 (allora latitante) Domenico Crea classe 1982 (tuttora latitante), per i reati di cui agli artt. 81 cpv, 110,629 co I e II c.p. in relazione all’art. 628 co I e III n. 3 c.p., 7 L. 203/91 e L. 575/65, perché in concorso tra loro e con altri soggetti in corso di compiuta identificazione, con violenza e con l’implicita minaccia di essere elementi di vertice della cosca Crea, costringevano Giuseppe De Masi e Antonino De Masi, affermati imprenditori del luogo, a consegnare loro macchine per l’agricoltura, attrezzi e materiale di vario tipo senza pagarli o dando solo piccoli acconti sul prezzo, per un valore complessivo stimato in più di 180 mila euro, dal 1999 al 2014.
Nel marzo 2015 era stato condannato, in primo grado, a 22 anni di reclusione per associazione mafiosa ed estorsione.
Giuseppe Ferraro, coinvolto nella nota faida di Oppido Mamertina (RC), insorta negli anni Ottanta – che, dal 1986 in poi, ha causato cruenti fatti di sangue, 20 omicidi e diversi tentati omicidi e ferimenti tra le contrapposte famiglie mafiose Polimeni-Mazzagatti-Bonarrigo e Ferraro-Raccosta, era stato, invece, condannato nel 2009 alla pena dell’ergastolo per associazione di tipo mafioso ed omicidio. Nel 2013 era stato colpito da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere come mandate – ancorché latitante – di un duplice omicidio commesso nell’ambito della ripresa della suddetta faida (operazione antimafia Erinni).
Il latitante Giuseppe Ferraro era colpito dai seguenti provvedimenti restrittivi:
Provvedimento di esecuzione di pene concorrenti n.123/2010 RES, emesso dalla Procura Generale della Repubblica di Reggio Calabria in data 08.06.2010, nei confronti Giuseppe Ferraro, latitante condannato all’ergastolo e ad anni 9 e mesi 1 di reclusione, per associazione mafiosa, duplice omicidio (Giosofatto Bonarrigo e Antonio Gentile) ed armi.
Ordinanza di Custodia Cautelare in Carcere n. 1287/98 RGNR/D.D.A. e n. 45/99 R.G.I.P., emessa in data 08.04.1999 dal G.I.P. presso il Tribunale di Reggio Calabria per violazione della legge sulle armi, ricettazione ed altro.
Ordinanza di custodia cautelare in carcere n.3546/12 RGNR DDA- n.6450/12 RG GIP e n.66/13 OCC emessa dal GIP presso il Tribunale di Reggio Calabria in data 17.12.2013 (successiva al Fermo di indiziato di delitto n. 3546/2012 R.G.N.R. DDA eseguito in data 26.11.2013 ed emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Reggio Calabria), per sequestro di persona e duplice omicidio in danno di Francesco Raccosta e Carmine Putrino per avere, Giuseppe Ferraro, quale capo della cosca Ferraro-Raccosta, fornito le informazioni utili per individuare, sequestrare e far uccidere Carmine Putrino e Francesco Raccosta, appartenenti alla sua stessa cosca, allo scopo di porre termine alle ostilità con la cosca Mazzagatti-Polimeni-Bonarrigo determinate dall’uccisione di Domenico Bonarrigo.
Il latitante Antonio Cilona classe 1980, di Seminara – ritenuto presunto esponente di spicco del sodalizio di ‘ndrangheta dei Santaiti – era ricercato perché si era sottratto all’ordinanza di custodia cautelare in carcere n. 321/11 RGNR e nr. 8/14 As. App. emessa in data 27 luglio 2015 dalla Corte di Assise di Appello di Reggio Calabria, a seguito della condanna inflitta in appello alla pena dell’ergastolo, per l’omicidio di Carmelo Ditto classe 1973 – ucciso a Seminara nel 2006 – e per il delitto di porto e detenzione di arma, aggravati dalle modalità mafiose.
A termine delle formalità di rito, i soggetti fermati sono stati condotti in carcere a disposizione dell’Autorità Giudiziaria.