Reggio Calabria. Il tempo dell’attesa e delle parole è finito. La situazione in cui versa la nostra regione ha assunto un tale livello di gravità da richiedere una forte presa di coscienza da parte di tutti (cittadini, Enti Locali e Stato) e da richiedere interventi improcrastinabili. La cronaca degli ultimi giorni ci ha consegnato immagini di drammatiche. Agli eventi calamitosi verificatisi in Liguria hanno fatto seguito, proprio ieri, le drammatiche immagini dell’esondazione del torrente Longano a Barcellona Pozzo di gotto e quelle giunte dalla nostra stessa regione, con il deragliamento di un treno tra Feroleto e Marcellinara che ha visto salvi solo per caso i 21 passeggeri, mentre, ora dopo ora, continua ad allungarsi l’elenco dei danni, dall’interruzione della linea ferroviaria ionica tra Soverato e Crotone, all’allagamento della stazione di Botricello, alla chiusura della strada provinciale per Mesoraca. Senza contare, poi, le notizie delle centinaia di interventi dei Vigili del Fuoco che a Reggio Calabria hanno salvato una donna rimasta isolata dopo una mareggiata e nel Catanzarese hanno dovuto far fronte agli allagamenti provocati dal diluvio. Come Legambiente denunciamo da anni, attraverso i nostri dossier sul rischio, le campagne di informazione e le giornate di mobilitazione, la fragilità della Calabria e lo scempio del territorio che ha subito negli anni pesantissimi interventi di cementificazione, urbanizzazione selvaggia, disboscamento, occupazione degli alvei dei fiumi ad opera di infrastrutture pubbliche e private, intubazione dei torrenti, costretti in spazi sempre più ristretti e invasi da rifiuti e discariche di ogni tipo, gli incendi boschivi che distruggendo le aree verdi e la macchia mediterranea favoriscono lo sgretolamento delle colline, l’abbandono dell’agricoltura e dei terrazzamenti, la mancanza di manutenzione ordinaria, di pulizia dei tombini nelle città, e così via. Ma adesso, dopo i fatti di Genova e di Barcellona, la consapevolezza inizia a diventare coscienza anche nella popolazione, che alle prime piogge viene colta dal panico e corre a prendere i bambini a scuola per paura che possano rimanere bloccati. Ogni anno l’abbandono del territorio esige il suo tributo di vittime, senza contare i danni materiali che costano ogni anno migliaia di euro, denaro che sarebbe molto più utile utilizzare per prevenire anziché per far fronte ai danni. Solo negli ultimi 24 mesi la Protezione Civile ha dovuto stanziare 15.000.000 di euro per la frana di Maierato, 700.000 euro per interventi nel Comune di Belvedere Marittimo, in provincia di Cosenza del gennaio 2009, e 7.000.000 di euro nel gennaio 2011 per interventi urgenti di protezione civile sempre a causa del maltempo. Eppure nulla si muove. Ma è ormai chiaro che i cambiamenti climatici sono ormai in atto e che eventi cosiddetti “eccezionali” saranno sempre più “ordinari” e renderanno sempre più inefficace una politica che non punta sulla prevenzione, bensì su interventi “post”. Ogni qualvolta, poi, abbiamo interrogato le istituzioni in proposito, ci è sempre stato consegnato un lungo elenco di interventi effettuati o di progetti pronti a partire. Ma quanto denaro pubblico è stato speso? E quali sono i risultati ottenuti? Come associazione abbiamo sempre accompagnato le nostre proteste con proposte concrete, che ci teniamo a ribadire anche in questa occasione, in primis la necessità di abbandonare la politica delle grandi opere pubbliche inutili, per puntare invece sulla messa in sicurezza, sulla manutenzione e sulla cura del territorio come grandi opere pubbliche. Emerge in maniera chiara come sia ormai indispensabile porre in atto degli interventi di delocalizzazione degli edifici, delle strutture e delle attività presenti nelle aree a rischio, così come è stato fatto sul Vesuvio. E’ un intervento difficile, da programmare con cura e attenzione e con il consenso delle popolazioni, ma è necessario avere il coraggio di dire che, in alcuni contesti, è l’unico intervento idoneo a salvaguardare la sicurezza delle popolazioni. Nella programmazione, poi, è indispensabile adeguare lo sviluppo territoriale alle mappe del rischio, per evitare la costruzione nelle aree a pericolose di strutture residenziali o produttive e per garantire che le modalità di costruzione degli edifici tengano conto del livello e della tipologia di rischio presente sul territorio. Dopo anni di sviluppo selvaggio ricominciare a dare spazio alla natura e dedicare attenzione, fondi e risorse alla cura del territorio. Restituire, cioè, lo spazio necessario per i corsi d’acqua creando e rispettando le “fasce di pertinenza fluviale” per permetterne un’esondazione diffusa ma controllata. Attuare una manutenzione ordinaria del territorio che non sia sinonimo di artificializzazione, ma di interventi mirati e rispettosi degli aspetti ambientali. Torrenti e fiumare devono diventare “sorvegliati speciali”, perché la storia del nostro territorio ci insegna che gli eventi peggiori si verificano in prossimità di questi. Insieme alla “gestione delle piogge” in città, un problema oggi sempre più evidenziato da eventi piovosi non straordinari che però causano allagamenti e danni rilevanti e a volte, purtroppo, anche delle vittime. Insieme alla prevenzione degli incendi che creano il disboscamento aggravando il rischio di frane, andrebbe intrapreso – come da noi proposto ormai da lungo tempo – anche un potenziamento del verde urbano e di riqualificazione delle aree collinari, recuperando antichi saperi e incentivando il ritorno ad una agricoltura che per decessi ha avuto il merito di manutenere i territorio. Bisogna poi rafforzare le attività di controllo e monitoraggio del territorio per contrastare illegalità come le captazioni abusive di acqua, l’estrazione illegale di inerti e l’abusivismo edilizio. Infine, bisogna avviare una politica attiva di “convivenza con il rischio” con sistemi di allerta, piani di protezione civile aggiornati e con un’adeguata informazione e esercitazione tra la popolazione. Tutto ciò significa investire finalmente nella difesa del suolo. Bisogna dirottare adeguate risorse, soprattutto economiche in questo settore strategico per il futuro del nostro territorio e a livello occupazionale, perché significherebbe grande impiego sia di manodopera che di numerose professionalità. Tutto questo in tempo brevi. Prima che la Calabria si sgretoli sotto i nostri piedi.
Legambiente Calabria