Da Jusy Calabrò e Pasquale Pizzimenti, Urbanisti laureati in PTU&A e brillanti dottorandi di ricerca della Mediterranea (in “Pianificazione territoriale” presso Architettura e in “Ingegneria Marittima, dei Materiali e delle Strutture” presso Ingegneria), rientrati da un’impegnativa esperienza di ricerca e formazione in Belgio, riceviamo e pubblichiamo un interessante contributo sulla nostra realtà “vista dal cuore dell’Europa”.
(E.C.)
Reggio Città Metropolitana vista dal cuore dell’Europa
di Jusy Calabrò e Pasquale Pizzimenti
Con all’attivo una tesi di laurea in “Pianificazione territoriale, urbanistica e ambientale” dal titolo “Il porto di Reggio Calabria cuore e porta della Città Metropolitana”, la prima in PTU&A dopo l’individuazione di Reggio Calabria Città Metropolitana, e credendo nella tua città, non hai scelta: proseguire lungo la strada della ricerca, e competere sul piano nazionale e internazionale, perché anche la tua città possa entrare a pieno titolo nei circuiti “alti” della ricerca scientifica europea, e svilupparsi secondo linee innovative.
Sì, perché l’Urbanistica – scienza, tecnica e politica per il governo del territorio – senza innovazione non ha senso, e l’innovazione, di cui tanto bisogno hanno sia la nostra città che l’istituenda città metropolitana, non può scaturire da pratiche pianificatorie autoreferenziali, ma dalla loro verifica attraverso il “filtro” della ricerca scientifica.
Se poi aggiungi che la città non la puoi studiare “in vitro”, cioè nelle stanze asettiche dei laboratori, ma conoscendone il maggior numero possibile, vivendole nella loro quotidianità e nelle loro problematicità, “camminandoci dentro” e non “sorvolandole dall’alto”, diventa inevitabile alzarsi dalla propria comoda postazione per andare all’estero, per viaggiare, vedere posti nuovi, entrare in contatto con culture diverse, per studiare o più semplicemente per conoscere contesti urbani diversi dai tuoi traendo stimoli da un confronto attento e non pregiudiziale.
Già, ricerca, che bella parola. Ma ricerca di cosa? Si, perché in nessun campo, e l’Urbanistica non è da meno, puoi vivere di certezze, specchiandoti in te stesso, ma devi, non puoi non farlo, “attraversare lo specchio”. Quindi non certezze, ma dubbi e, lo si sa, “il dubbio è il presupposto essenziale per la ricerca” oltre che, ovviamente, per l’intelligenza.
Compiuta quindi una scelta, come la nostra, di proseguire la formazione universitaria affrontando il percorso di ricerca di un PhD, mettendosi alla prova per testare i propri limiti e di utilizzare i tre anni di approfondimento formativo per maturare aprendo gli orizzonti cognitivi e confrontandosi con punti di vista differenti dai propri, con lingue e culture che, in quanto “diverse”, ci arricchiscono scatenando un “brainstorming creativo”, difficilmente perseguibile tra le quattro mura di una biblioteca. E questo percorso di ricerca lo puoi intraprendere solo se la rapporti a contesti diversi, solo se lo poni a servizio del tuo Paese, solo se intendi contribuire in maniera concreta al miglioramento della qualità della vita della tua collettività.
Quest’ultimo aspetto merita una riflessione attenta.
Da giovani urbanisti non possiamo ignorare quello che, secondo noi, e secondo gli insegnamenti ricevuti, è il fondamentale obiettivo di un urbanista: “migliorare, attraverso il piano, la qualità della vita della gente”.
Rientrando da Leuven (Lovanio) in Belgio, e precisamente da un’esperienza formativa in Spatial Planning (EMSDP) presso la Katholieke Universiteit di questa incantevole cittadina a 20km circa da Bruxelles (cioè di una delle più significative aree metropolitane europee), ci sembra doveroso fare alcune considerazioni, filtrate attraverso quest’importante esperienza, riguardo alla pianificazione territoriale in genere (quindi aspetti culturali, sociali, economici, territoriali ecc.), e quella metropolitana in particolare.
Partiamo quindi dalla multidisciplinarietà e dall’interculturalità, elementi strettamente connessi fra loro, e che rappresentano i pregi più grandi di questa esperienza formativa.
Le differenze, o meglio, le divergenze d’opinione sono la risultante del portato culturale di ognuno di noi, oltre che di esperienze più o meno approfondite sull’argomento, le quali garantiscono quella mixité socio-culturale tanto ricercata, oggi più di ieri, dalla quale non si può prescindere per la formazione di una società tollerante, aperta a nuove sfide pur nel mantenimento della propria identità. Abbiamo avuto l’opportunità di confrontarci con le nazionalità più disparate avendo in un microcosmo la vision di come potrebbe essere una società multi-etnica, in cui ogni esperienza confluisce nelle altre creando un quadro completo e complesso della realtà che viviamo, dando la giusta importanza ai nostri caratteri identitari, i quali non svaniscono anzi riacquistano significato nell’ottica rinnovata della convivenza. Scambiare idee, ricevere feed-back da studi complementari allo specifico tema di studio è indispensabile per un dottorando che intenda compiere un percorso col fine ultimo di dare risposta a domande indispensabili per compiere passi avanti nella ricerca.
Parlando da urbanisti, non possiamo trascurare l’approccio metodologico utilizzato da Paesi diversi dal nostro. Le peculiarità dell’approccio alla pianificazione territoriale di una città si comprendono, oltre che studiandone le teorie e le pratiche, vivendo la città, toccando con mano il mutamento.
In effetti può capitare, trovandoti all’estero, di avvertire che qualcosa ti manchi, inizialmente non focalizzi bene cosa sia, poi realizzi che sono quei punti di riferimento, quelle pratiche abituali della tua quotidianità, venute meno per cedere il passo ad un altro stile di vita, a new way of life, tanto distante dal tuo ma così vicino a ciò che vorresti per la tua città. Allora pensi: nella mia bella e maledetta Città Metropolitana qualcosa sarà cambiato?
C’è da dire che il paragone, purtroppo, non regge. Il Nord-Europa ha una tradizione urbanistica ben diversa dalla nostra, attenta alla gente, alle esigenze concrete di chi la vive e capace di correggere il tiro, qualora fosse sbagliato. Il corso di formazione ha avuto il pregio di porre in evidenza, grazie al suo approccio interdisciplinare, tutte le differenze e, quindi le specificità, di luoghi ben distanti, e non solo spazialmente parlando, dal nostro territorio e dal “nostro” modo di intenderne la gestione e il cambiamento, in sostanza di quella disciplina in itinere, l’Urbanistica, nella sua accezione più nobile del termine. Quando parliamo di Nord – Europa, quella occidentale nello specifico, trattiamo di un’urbanistica caratterizzata dal fenomeno della “diffusione urbana”.
Anche nel Nord Europa, ed anche in Urbanistica, si sente l’esigenza di confrontarsi con la cultura italiana, ed ecco che il nostro programma, e quello dei nostri colleghi provenienti da paesi diversi, viene offerto un confronto seminariale, quanto mai attuale, con il professore Bernardo Secchi, uno dei pilastri dell’urbanistica italiana, su alcune idee guida:
* “lavorare su una città diffusa è un modo per riflettere sul rapporto tra architettura ed urbanistica, tra spazi pubblici ed architetture; è un modo per imparare dalla gente e dalle situazioni” perché, spiega Secchi,
* “le trasformazioni non sono sempre possibili, che le attività progettuali ci obbligano a partire dal territorio, da quanto esso ci suggerisce”.
Da qui la domanda: come inserire dunque le città diffuse del Nord Europa nella logica di grandi agglomerati urbani, aree metropolitane, bisognose di nuove centralità?
La riconsiderazione qualitativa delle città diffuse del Nord-Europa rappresenta, paradossalmente, un modo di innescare il cambiamento senza stravolgere equilibri consolidatisi nello stratificarsi di decenni di mutamento, antropico e naturale, pianificando e disegnando partendo da queste piccole cittadine che costituiscono le potenziali centralità di grandi metropoli. Un’attenta opera di pianificazione potrebbe dunque rendere sostenibili tali realtà, coniugando un forte senso di appartenenza ai luoghi con una logica metropolitana di sviluppo, ristabilendo equilibrio e significato a contesti che rappresentano la negazione del rapporto tra modalità di insediamento e contesto fisico.
In sostanza, partendo dalla realtà, bella o brutta che sia, si può generare nuova forma urbana, qualitativamente e quantitativamente sostenibile, senza stravolgere quegli equilibri che, seppur di matrice errata, nel tempo sono stati inglobati e fagocitati dal territorio, che ha restituito loro un senso all’interno di quel complesso sistema in divenire che è l’ambiente.
È inevitabile a questo punto il paragone con la neo-nata Reggio Città Metropolitana. In tale ottica i piccoli comuni che fanno parte della Provincia di Reggio, e gli eventuali facenti parte della futura metropoli, pressoché con le medesime caratteristiche di insediamento diffuso (in particolare quelli sulla SS106) potrebbero essere considerati come nuove centralità urbane, nuovi poli di attrazione, seguendo il principio della multi-centralità. Principio che fornirebbe, a nostro avviso, un rinnovato senso di appartenenza oltre che nuovo valore nel disegno globale dell’Area Metropolitana.
Funzioni e ruoli specifici ma condivisi, complementari l’un l’altro, razionalizzati: network di servizi culturali, istituzionali, funzionali che non solo contribuirebbero al miglioramento qualitativo dei servizi, ma anche a cospicui risparmi economici da reinvestire sul territorio.
Una volta qui, puoi constatare, tuo malgrado, la differenza fra quanto hai “vissuto” nei mesi precedenti, ed una realtà che sembra vada avanti a prescindere tanto da un piano quanto da un’idea di programma, e non puoi non domandarti: le città metropolitane, stavolta, ce la faranno anche da noi una realtà viva e pulsante, o resteranno ancora una volta sulla carta?
Quando finalmente anche in Italia, la storia dell’urbanistica si farà attraverso la forza delle realizzazioni concrete, e non con una successione di idee valide, validissime, destinate ed arricchire l’elenco delle cose non fatte?
Può bastarti, quando rientri in Italia, il non vedere l’ora di atterrare, di acciuffare il bagaglio al volo, e respirare quell’aria unica, che sa di mare, di casa?