Convegno nazionale sulle minoranze linguistiche, di seguito riportiamo in versione integrale l’intervento del presidente del Consiglio regionale della Calabria on. Giuseppe Bova: E’ senza dubbio un vero e proprio evento il convegno nazionale sulle minoranze linguistiche, che si tiene oggi e domani, qui al “Politeama” di Catanzaro, cui ho il privilegio di partecipare. Mi pare che una siffatta iniziativa non abbia precedenti nella nostra regione; a questo proposito sarei curioso di sapere quando e dove, in altre realtà del nostro Paese, se ne siano tenute di così rilevanti. Lo dico al fine esclusivo di esprimere tutto il mio compiacimento e il plauso all’assessorato regionale al Turismo e all’assessore con delega alle minoranze Damiano Guagliardi, che tale iniziativa hanno promosso.
Non ho alcun dubbio che tutto questo servirà, a dieci anni dall’approvazione della legge 482, per verificarne lo stato di attuazione, la tenuta e l’adeguatezza rispetto ai problemi delle minoranze linguistiche nella società italiana di oggi, oltre che per riflettere sulla stessa compiutezza delle legislazioni regionali su questa materia che riteniamo assai attuale.
Se mi è consentito, vorrei sottolineare come ritengo non sia per nulla casuale che un convegno nazionale su una questione di tale importanza si tenga in Calabria e proprio quest’anno.
Ha pesato – non v’è dubbio – la particolare sensibilità dell’assessore, di cultura arbereshe, cosa che egli stesso ricorda in ogni occasione. Ma non dimentico che quest’anno l’Assemblea legislativa regionale ha rivisitato e fortemente aggiornato la legge sui calabresi nel mondo, e contemporaneamente, prima Regione in Italia, ha approvato una propria legge sull’accoglienza. E cioè sul modo di organizzare, sostenere e accompagnare il diritto di asilo degli stranieri che bussano alle porte della Calabria.
Tutto ciò testimonia una forte volontà istituzionale di affrontare il tema dell’inclusione attualizzandolo, senza lasciare spazio alla sub-cultura dei respingimenti preventivi e dell’omologazione o, peggio, facendo proprie le campagne xenofobe che, qua e là, affiorano in Europa.
E’ il modo giusto per misurarsi, in generale e anche specificamente in questo convegno, con i principi concernenti le minoranze linguistiche e gli immigrati, quali riaffermati dagli stati membri dell’Unione Europea nell’art. 2 del Trattato di Lisbona, da ultimo ratificato anche dalla Repubblica Ceca e appena entrato in vigore. Tutto questo, proprio per non rimuovere né sottovalutare i rischi gravi derivanti dal referendum svizzero anti-minareti.
Come fare, allora, per rendere proficua questa iniziativa sulle minoranze linguistiche e cercare di inverare, nella maniera più ampia possibile, i diritti dei singoli appartenenti a queste comunità? Come sottolineare e mettere ulteriormente a valore una siffatta risorsa nazionale ed europea e, al contempo, cimentarsi nella difficile sfida dell’inclusione dei nuovi migranti?
Interrogativi, questi, le cui risposte non possono prescindere dalla presa d’atto della difficilissima condizione in cui viviamo. Quello dei nuovi migranti è un mondo assai variegato e complesso, percorso da profondissime tensioni e marcato da differenze per provenienza, costumi, confessioni religiose, consuetudini culturali, sociali e giuridiche. E mentre ieri l’immigrazione coinvolgeva in maniera quasi esclusiva la società europea e cristiana, oggi è in prevalenza extraeuropea e islamica.
Tutto ciò avviene in un mondo in cui il miraggio di uno sviluppo senza limiti è sparito, creando nuove e profonde sacche di disperazione sociale ed acuendo la sperequazione e le disuguaglianze tra le aree più sviluppate e quelle più arretrate del pianeta. Dentro questo, un’Europa fragile si ritrova a scoprire il groviglio di problemi, conflitti e contraddizioni che comporta l’essere individuata come una sorta di “terra promessa”, alla stregua di quanto avvenuto per il Nord America nel XIX e nel XX secolo.
In questo senso, non è retorico porsi il quesito di cosa possa fare una singola Regione in questa direzione, o di cosa possa fare un insieme di Regioni in rete, e ancora quale supporto debba venire dalla legislazione nazionale e comunitaria in materia.
Sono consapevole che siamo ormai alla conclusione della legislatura in quasi tutte le Regioni a statuto ordinario e che quindi queste domande debbano trovare risposta nei programmi per la prossima legislatura, mantenendo come orizzonte di riferimento l’insieme dei principi fondamentali della Costituzione italiana. Non solo, ad esempio, quello contenuto nell’art. 6, che stabilisce che la Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche, ma anche e soprattutto quello dell’art. 11, nel quale è solennemente sancito che “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli”.
Un principio assai valido anche per combattere la disperazione sociale che in quest’epoca può travolgere intere etnie, e soprattutto per contrastare il terrorismo: la più moderna e pericolosa strumentalizzazione delle varie forme di disperazione etnica, che esso piega per conseguire i suoi perversi e sanguinosi fini.
In quest’ambito, avranno maggiore successo le politiche regionali che riguardano le minoranze linguistiche se contemporaneamente, come una sorta di felice convergenza parallela, si sarà capaci di far crescere e affermare le politiche dell’accoglienza a quanti richiederanno asilo. Se cioè, nell’Italia e nell’Europa che si accingono ad avviare le politiche di libero scambio con l’altra sponda del Mediterraneo, l’accoglienza si tradurrà in progetti concreti, co-finanziati dall’Unione Europea, che facciano crescere davvero nelle nostre Regioni le politiche dell’inclusione.
Tanto più, dunque, avrà successo la valorizzazione delle minoranze linguistiche storiche, quanto più saranno parte di un più vasto e sistematico progetto inclusivo di tutte le minoranze, pur mantenendo pienamente ciascuna la propria identità.
Buon lavoro.
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