Carissimi fratelli, ogni anno durante la Messa del Crisma queste parole risuonano per ben due volte nella li-turgia: nella prima Lettura, che ci propone direttamente il testo del profeta Isaia (Is 61,1-29, e nel Vangelo (Lc 4,14-21) dove S. Luca ci racconta di Gesù che nella sinagoga di Nazaret si attribuisce queste parole, come vaticinate per lui dal Profeta. Attraverso queste parole ogni anno, in questa solennissima celebrazione, che ci introduce nel Triduo Pasquale, noi sacerdoti siamo chiamati a riflettere sul senso della nostra consacrazione. Una riflessione alla quale si associa l’atto solenne della rinnovazione delle nostre promesse sacerdotali dinanzi al popolo di Dio, che ci è stato affidato; di più, dinanzi idealmente a tutti gli uomini, per quella visibilità che, in bene o in male, la Chiesa ha nel mondo, come una delle forze morali e cultu-rali più forti ed incisive. Attraverso esse si ripropone per noi il significato della nostra consacrazio-ne, dalla cui qualità deriva anche la qualità e l’incisività della missione. Fra poco rinnoveremo queste nostre promesse: ma con quale consapevolezza e con quale disponibilità? Dopo aver letto il testo di Isaia Gesù dice: Oggi si è adempiuta questa Scrittura. Egli affer-ma solennemente di essere Lui l’unto per eccellenza, il consacrato dal Padre, fonte e modello di o-gni consacrazione futura. E’ d’obbligo allora per noi partire dalla considerazione della consacrazione di Gesù, perché è lui il nostro modello; il nostro sacerdozio si modella sul suo. Per i poteri che gli vengono conferiti nel giorno dell’ordinazione, il sacerdote viene chiamato alter Christus. Per capire cosa ha comportato per Gesù il sacerdozio, dobbiamo andare con la nostra mente al bat-tesimo nel fiume Giordano. S. Luca dice: Quando tutto il popolo fu battezzato e mentre Gesù, rice-vuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e scese su di lui lo Spirito Santo in apparenza corporea, come di colomba, e vi fu una voce dal cielo: “Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto” (Lc 3,21-22). Nel mentre Gesù compie un gesto che fa rabbrividire Gio-vanni, perché lo vede in fila come un comune peccatore in attesa di ricevere il battesimo di peniten-za, il gesto dello stare con gli uomini, il Padre lo isola significativamente da tutti, lo riempie del suo Spirito e lo addita come il messia e salvatore: solo in Lui dice di compiacersi, solo in Lui scende lo Spirito, solo Lui è additato come figlio. Viene qui enucleata la dialettica, che in forza della consa-crazione anche noi viviamo in noi stessi, tra l’appartenenza al Padre e lo stare con i fratelli, tra la condivisione dell’umanità e l’esclusività dell’elezione. Come vivere questa dialettica? Gesù la vive questa impostando una vita all’interno della quale: 1. da una parte la comunione con il Padre è vitale e determinante. Infatti cerca spazi di silenzio e di solitudine per pregare; tutto il suo comportamento è orientato a fare la volontà del Padre. 2. dall’altra la diversificazione dal mondo e da tutto ciò che è mondano costituisce un obiettivo cer-cato continuamente, ma senza mai perdere la consapevolezza di essere stato inviato dal Padre per dare la propria vita per la salvezza del mondo. Da Gesù impariamo anche noi la dialettica dell’essere nel mondo, ma non dell’essere del mondo (Gv 17,9ss.), che deve essere guida della nostra consacrazione. La ricerca dell’appartenenza a Dio deve spingerci a fuggire tutto ciò che è mondano (Tt 2,11-12), perché possa trasparire da noi lo splendore dell’appartenenza a Dio, senza per questo venir meno all’essere destinati alla santifica-zione dei fratelli e quindi allo stare in mezzo a loro. Ma dobbiamo stare tra i fratelli come uomini di Dio: Tu sei il mio figlio prediletto. Come uomini che, soprattutto con il loro comportamento ancor prima che con la parola, parlano di Dio e testimoniano l’amore di Dio e la dimensione del sacro, chiedendo così dalla gente di essere ascoltati come gli inviati di Dio: ascoltatelo. La Lettera agli Ebrei ha chiarito bene il valore di questa dialettica che ci vede nel mondo ma con un impegno a non sentirci partecipi della sua mentalità: Ogni sommo sacerdote, preso fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. In tal modo egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore, essendo anch’egli rivestito di debolezza (Eb 5,1-2). La nostra apparte-nenza al mondo serve solo per capire il mondo ed essere solidale con gli uomini, così come è avve-nuto per Gesù: Doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote miseri-cordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo. Infatti proprio per essere stato messo alla prova ed aver sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova (Eb 2,17-18). Per il resto deve prevalere in noi la pietà (1Tm 4,7-8), la virtù che ci fa tutti di Dio, fuggendo dall’empietà di questo mondo (Tt 2,12). L’icona di Gesù che nel deserto vince Satana e tutte le sue suggestioni (Mt 4,1-11) sta davanti ai nostri occhi come modello. Non si tratta di accettare una separazione dal mondo, che ci distolga dalla missione di essere pastori, e presumere di vivere in una realtà pseudospirituale che finirebbe per essere inu-mana, ma di puntare su di una presenza nel mondo che non significhi assunzione di mentalità, di usi e costumi mondani. Miei cari sacerdoti, fra poco dinanzi al popolo di Dio qui radunato dichiarerete che volete unirvi intimamente al Signore rinunziando a voi stessi. O Cristo o noi al centro del nostro sacerdo-zio. Se poniamo noi stessi, allora subentra il compromesso che può prendere tanti volti: il volto dell’infedeltà, della pigrizia, del proprio tornaconto, del denaro, delle comodità terrene, della doppia vita. Quale felicità potremo avere lontano dal Signore, noi che per vocazione dobbiamo identificarci con lui? Se mettiamo Cristo al centro, allora c’è la dedizione, il servizio, la generosità, la sobrietà, la castità, la spiritualità. Facciamo attenzione, miei cari, alla tentazione della mondanizzazione: essa è reale, insidiosa, allettante, alcune volte appare anche giustificata da un falso bisogno di conoscere e sperimentare la mondanità per aiutare i fedeli attratti dalle cose mondane. Quest’anno sacerdotale certamente è stato scandito da tante iniziative, promosse per aiutare i sacerdoti a crescere nella propria vocazione: conferenze, dibattiti, preghiere, pellegrinaggi, pubbli-cazioni, ritiri ecc. La stragrande maggioranza dei sacerdoti certamente è cresciuta in santità. Ma questo anno è stato scandito anche da un attacco frontale e violento, come mai si era verificato negli ultimi tempi, contro la Chiesa e contro il Papa in particolare, prendendo a motivo mancanze gravi di sacerdoti, che umiliano un po’ tutti; mancanze tirate fuori ad arte dagli archivi del passato, alcune delle quali già giudicate e condannate. Si intravede senza difficoltà la malizia che si cela dietro que-sto attacco e quale sia stato lo scopo finale: rendere non credibile la Chiesa nel suo magistero, che quanto più è fermo e deciso, tanto più è scomodo. Le colpe contestate ad uomini di chiesa sono gra-vi e nessuno pretende di giustificarle; ma bisogna avere l’onestà di dire che non sono, purtroppo, so-lo degli uomini di chiesa. Questo lo sanno tutti; tutti conoscono i dati e le statistiche di crimini per-petrati da tutte le categorie di persone, anche fra le mura domestiche; eppure solo gli uomini della chiesa cattolica sono puntati a dito e stanno pagando per questo attacco mediatico, che vuole fare piazza pulita della Chiesa, cercando di destituire il Papa di ogni autorità morale. Mancanze vergognose, commesse spesso anche da persone sposate, vengono addotte, ahimè, anche da sedicenti teologici all’interno della Chiesa, per mettere in discussione il senso e il valore del nostro celibato. Noi fra poco lo rinnoveremo con gioia ed entusiasmo. Se le mancanze dei nostri fratelli ci fanno soffrire, noi non ci piegheremo al linciaggio mediatico. Pur con le nostre fragilità di uomini, abbiamo la consapevolezza, miei cari sacerdoti, di essere persone di fede che ci sforziamo di essere amici del Signore e di testimoniare ai fratelli tutto quello che noi abbiamo visto, udito e contemplato del Verbo della vita (1Gv 1,1-3). Coraggio, cari sacerdoti, sappiamo in cuor nostro di non essere come ci si vorrebbe far pas-sare. Siamo fragili e deboli, è vero, ma pieni di coraggio e lottiamo per essere fedeli a Colui che ci ha scelti e chiamati (Gv 15,16). Abbiamo, inoltre, la certezza della promessa di Gesù: Le porte degli inferi non prevarranno (Mt 16,18). Miei cari sacerdoti, alla fine di questo anno sacerdotale, la nostra migliore risposta deve es-sere non la vergogna ma la fedeltà. Dobbiamo riscoprire l’intimità con il Signore Gesù in una rin-novata offerta della nostra vita. Non cediamo alla mondanizzazione in tutte le sue forme. Non as-sumiamo forme mondane nel nostro modo di comportarci. Bando al lusso, alle comodità, all’eccessiva cura di se stessi; scegliamo la modestia, la semplicità, la povertà, la castità e la delica-tezza d’animo. Restituiamoci al sacro per sentire la voce del Signore, che dentro di noi bussa per es-sere donato da noi agli altri: Ecco io sto alla porta e busso (Ap 3,20). Ripartiamo con rinnovato entusiasmo. La nostra confessione pasquale esprima la decisione di voltar pagina, se abbiamo riscontrato in noi fragilità e debolezze. Duc in altum. Mettiamo dietro le spalle l’eventuale male commesso e prendiamo il largo, perché il Signore è con noi. E poi amiamo la Chiesa, nostra madre. Sul nostro territorio, tra tante delusioni e incertezze, essa rimane ancora un punto di riferimento e di speranza che noi non dobbiamo deludere con i no-stri comportamenti. Onoriamo la speranza della gente, stando vicino a tutti; la gente vuole i sacer-doti vicino e presenti nella realtà della loro vita. L’ho ascoltato ripetutamente negli incontri quare-simali con i consigli pastorali. Non deludiamola. Non diventiamo giudici spietati e cinici di questa nostra madre, la Chiesa, quasi ad ostentare con compiaciuto distacco che noi siamo superiori ai lati deboli della Chiesa. Non è un comporta-mento d’amore. Sappiamo portare la croce della fragilità e della debolezza che c’è all’interno della Chiesa. Miei cari sacerdoti, del clero diocesano e religioso, mi auguro possiate condividere con il vostro vescovo questi sentimenti. Io vi ringrazio per i sacrifici che fate ogni giorno per essere fedeli alla vostra consacrazione e per svolgere il vostro ministero con dignità e impegno. Continuate con coraggio e con amore. Dio saprà ricompensarvi. Un ringraziamento affettuoso vada anche a tutti i sacerdoti che sono presenti in mezzo a noi in questi giorni per prestare il loro aiuto pastorale. Ringrazio i diaconi per quel che danno alla nostra Chiesa diocesana. Mi auguro che il Signo-re possa suscitarne ancora tra il nostro popolo, perché la loro presenza accanto al sacerdote sul no-stro territorio è veramente fonte di grazia. Grazie anche a tutti coloro che prestano il loro lavoro nei vari uffici attraverso i quali si svolge l’attività della nostra Chiesa diocesana. A voi cari seminaristi l’esortazione ad assumere fin da questo momento quell’orientamento di distacco dal mondo che si richiede per una persona consacrata. Anche a voi religiose e consacrate debbo esprimere la gratitudine per quel che siete e testi-moniate nella nostra Diocesi, ancor prima che per il lavoro pastorale generoso, senza badare a sacri-fici, alcune volte in situazioni veramente eroiche. Le difficoltà vocazionali alcune volte vi scorag-giano e sono una terribile tentazione per lasciare tutto. Siate coraggiose e resistete. Passeranno que-ste difficoltà con il loro buio e tornerà a splendere il sole. Credeteci e attendete in preghiera e in vi-gilanza. Possa essere di consolazione per voi il desiderio espresso ad avere una vostra presenza in tutte le comunità, alcune volte anche dalle autorità civili. Un ringraziamento e un incoraggiamento anche ai lettori, agli accoliti, ai ministranti, ai cate-chisti, ai membri dei cori diocesani, a quanti lavorano per il servizio della carità: siete anche voi volto della nostra Chiesa in cammino, che risplende per il vostro amore e la vostra dedizione. In questo momento in cui sperimentiamo in forma solenne l’unità e la comunione di tutta la nostra Chiesa diocesana, debbo rivolgermi anche a voi, santo popolo di Dio, che della nostra Chiesa siete parte viva ed eletta. Lo faccio con affetto e gratitudine. Ho terminato ieri gli incontri con i Consigli Pastorali di tutte le parrocchie: ne ho fatti ben 34 a partire dal 12 febbraio, senza contare i 5 incontri con i sacerdoti delle 5 Vicarie sul cammino Emmaus, e gli altri con alcuni consigli pasto-rali vicariali, con i cresimandi e cresimati. Riesco a contarne in totale più di 50. Tantissimi, che in un mese e mezzo ho fatto con amore e senso di responsabilità, consapevole che non si può animare una comunità stando seduti al tavolino. Ho raccolto tutto ciò che voi mi avete comunicato ed ho una immagine della nostra Diocesi, sulla quale rifletterò; porterò in seguito alla vostra conoscenza gli elementi che mi sembrano impor-tanti per il futuro cammino della Diocesi. Posso dirvi fin da questo momento che abbiamo una Chiesa viva, che sta camminando con impegno e generosità nel settore dell’evangelizzazione. Sta maturando l’esigenza di perfezionare la pastorale della famiglia e in questo anno, per la generosità di alcune coppie, sono stati fatti decisivi passi in avanti. Incontrando i cresimati dell’anno scorso, e sono stati tanti, più di quanti potevo immaginare, ho notato in loro il desiderio di continuare il cammino di fede. E’ una sfida per noi sacerdoti, che dobbiamo saper rispondere con linguaggio e iniziative adeguate alle loro aspettative. Con il prossimo anno pastorale dovremo attrezzarci per una animazione almeno a livello vicariale, limitando al massimo gli incontri centralizzati. Ciò richiederà grande sforzo, ma il Signore ci aiuterà. Coraggio santa Chiesa di Dio che è in Locri-Gerace, alzati e prosegui con speranza il tuo cammino, perché Dio è con te. Pregate anche per il vostro Vescovo, perché possa stare alla vostra guida soprattutto con la fede e la santità di vita.
p. Giuseppe Fiorini Morosini
Vostro Vescovo