Reggio Calabria. A Monasterace, ultimo comune del versante jonico della provincia di Reggio Calabria, solo la cosca Ruga doveva lavorare: questo lo spaccato che emerge dall’operazione odierna denominata “Village”, condotta dalla Procura della Repubblica reggina ed eseguita questa mattina dagli agenti della Direzione investigativa antimafia. Il gip presso il tribunale reggino, Silvana Grasso, ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 3 persone. Si tratta del boss Benito Vincenzo Antonio Ruga, 69 anni, già condannato con sentenza passata in giudicato per 416 bis, di Vito Micelotta, 56 anni, responsabile dell’ufficio tecnico del Comune di Monasterace e di Aladino Gruppillo, 60 anni, imprenditore. I tre sono accusati, a vario titolo, dei reati di concorso esterno in associazione mafiosa, abuso d’ufficio aggravato e falso in atto pubblico.
I dettagli dell’operazione sono stati illustrati in conferenza stampa, che si è tenuta questa mattina presso la Procura della Repubblica di Reggio Calabria, a cui hanno preso parte il Procuratore Capo, Giuseppe Pignatone, Nicola Gratteri, Procuratore aggiunto presso la Procura reggina e il colonnello Francesco Falbo, dirigente della D.I.A. di Reggio Calabria. “La cosca Ruga – ha affermato Pignatone – aveva il controllo totale degli appalti delle opere pubbliche a Monasterace, qualsiasi servizio, dovevano svolgerlo loro direttamente o imprese riconducibili alla consorteria criminale”.
Successivamente è intervenuto il Procuratore aggiunto Gratteri, il super magistrato che ha la “delega” per il litorale jonico reggino. «Benito Vincenzo Antonio Ruga non è un soggetto sconosciuto alla Procura della Repubblica reggina. Egli è stato condannato definitivamente per il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso a margine dell’operazione del 1993 denominata convenzionalmente “Stilaro”; ed è proprio dal 1993 che non si effettuavano operazioni di polizia giudiziaria nel territorio di Monasterace, per questo – continua Gratteri – di concerto con il Procuratore Pignatone abbiamo deciso di monitorare ancora meglio quella parte del territorio. Il boss Ruga è uno degli storici patriarchi della cosca; quando i due fratelli Cosimo e Andrea, arrestati entrambi, il primo per sequestro di persona e il secondo per 416bis, era lui che teneva le fila della cosca. Il suo compito era quello di controllare gli appalti del comune. Anni fa, quando un imprenditore di Villa San Giovanni si aggiudicò l’appalto per la costruzione del lungomare di Monasterace, anche in quel caso la cosca Ruga voleva “mettere le mani” e ciò l’abbiamo scoperto solo grazie al coraggio dell’imprenditore taglieggiato che ha denunciato. Vincenzo Antonio Ruga, malgrado sia stato condannato per associazione mafiosa e per episodi analoghi a quelli di oggi, il copione negli anni si è ripetuto perché egli è “specializzato” nel controllare tutto quello che accade a Monasterace, in materia di appalti;fino ad oggi ha continuato imperterrito in questo. Per quanto riguarda invece la figura del tecnico comunale Micelotta anni fa è stato indagato due volte, sempre per episodi simili, ma fu assolto”.
Vito Micelotta – hanno affermato in conferenza stampa gli inquirenti – avrebbe contribuito consapevolmente al raggiungimento degli scopi criminali della cosca Ruga. Sulle modalità di infiltrazione dei Ruga negli appalti è intervenuto il colonnello Falbo il quale ha dichiarato che «gli appalti venivano affidati attraverso lo strumento della cosiddetta “somma urgenza” e del “silenzio assenso”; quest’ultimo è un meccanismo previsto dalla normativa amministrativa per velocizzare gli atti della pubblica amministrazione, in forza di questo strumento legale è possibile che a un’istanza del cittadino o privato, l’amministrazione, non rispondendo nei termini, consente al cittadino di acquisire il parere favorevole. L’imprenditore Gruppillo invece, “beneficiava” dell’attività strumentalizzata dal capo ufficio tecnico a favore della sua azienda. Gruppillo in concorso con Micelotta fornivano documenti falsi, agli enti che erogavano finanziamenti pubblici, per arricchirsi in modo illecito».
Angela Panzera