Reggio Calabria. Alle prime ore di oggi, la Squadra Mobile diretta dal primo dirigente Renato Cortese, unitamente al Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, ha eseguito un provvedimento di fermo di indiziato di delitto emesso dalla Procura della Repubblica – DDA – presso il Tribunale di Reggio Calabria, nei confronti di Demetrio Giuseppe Gangemi, alias “Mimmo”, 42enne imprenditore, titolare di una ditta individuale operante nel settore degli infissi in genere.
L’uomo è gravemente indiziato del delitto di associazione per delinquere di stampo mafioso, art. 416 bis, per avere preso parte, tra gli altri, con Giuseppe Lo Giudice (’39), Antonino Lo Giudice (’59), Domenico Lo Giudice (’68), Giovanni Lo Giudice (’71), Luciano Lo Giudice (’74), Antonio Cortese (’62), Consolato Romolo (’58), e con altre persone ancora non individuate, all’associazione mafiosa denominata ‘ndrangheta, nello specifico alla cosca Lo Giudice di Reggio Calabria, costituendo nell’ambito della consorteria un punto di riferimento dei vertici della stessa e fornendo un costante contributo per la vita dell’associazione. In particolare, secondo l’accusa, Gangemi si incaricava del trasporto, spostamento ed occultamento di armi ed esplosivi della cosca, da impiegare per l’esecuzione di attentati nei confronti di obiettivi individuati dal capocosca Antonino Lo Giudice e, più in generale, mettendosi a completa disposizione degli interessi della cosca, cooperando con gli altri associati nella realizzazione del programma criminoso del gruppo mafioso.
L’attività investigativa condotta dalla Squadra Mobile e dallo Sco trae origine dalle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia Antonino Lo Giudice, il boss pentito, e Consolato Villani, che hanno indicato il Gangemi quale affiliato alla cosca sin dai tempi e per volere di Giuseppe Lo Giudice (’39), storico boss ucciso nel 1990, confermando la sua stabile disponibilità ed operatività nel contesto mafioso, consistente, nello specifico, nell’avere contribuito al trasporto, spostamento ed occultamento di diverse e numerose armi, clandestine e finanche da guerra, costituenti l’arsenale della cosca mafiosa, al fine di evitarne il ritrovamento da parte delle Forze dell’Ordine. Il Gangemi, ancora secondo l’accusa, risulta essere da tempo vero e proprio imprenditore di riferimento non solo dei vertici della cosca Lo Giudice ma anche di affiliati e soggetti contigui alla medesima consorteria mafiosa.
In particolare dalle indagini è emerso che, a seguito dell’arresto, avvenuto nel maggio del 2006, di Paolo Sesto Cortese per illecita detenzione di armi clandestine e da guerra, suo fratello Antonio Cortese, successivamente pure tratto in arresto dalla Squadra Mobile, nel timore del rinvenimento anche dell’arsenale custodito da quest’ultimo per conto della consorteria, sollecitava il capocosca Antonino Lo Giudice a spostarle in un luogo più sicuro. Lo Giudice, pertanto, ordinava a Gangemi di prelevarle dal deposito sito in viale Calabria nella disponibilità di Antonio Cortese e di consegnarle all’affiliato Giovanni Chilà. Dopo il decesso di quest’ultimo, l’arsenale entrava in possesso di un soggetto vicino al Chilà, tale Antonino Laganà, e Lo Giudice subito dopo provvedeva a consegnarle in custodia a Vincenzo Laurendi, titolare del bar “Gran Caffè”, cognato di Leo Lo Giudice, quest’ultimo figlio del collaboratore Antonino Lo Giudice.
In relazione alle risultanze investigative, contestualmente all’esecuzione del fermo di Demetrio Giuseppe Gangemi, sono state eseguite una serie di perquisizioni ai sensi dell’art. 41 del Testo unico di leggi di pubblica sicurezza, presso immobili di proprietà o nella disponibilità dei seguenti soggetti:
- Vincenzo Laurendi, reggino di 35 anni, residente in frazione S. Gregorio, titolare del bar “Gran Caffè” ubicato in viale Genoese Zerbi;
- Antonino Laganà, reggino di 50 anni e residente a Pellaro;
- Demetrio Giuseppe Gangemi, reggino di 42 anni residente in via Carrera I;
- Antonio Cortese, 49enne nato a Bova Marina, residente a Reggio Calabria in via Sbarre Centrali Rione Ceci, attualmente detenuto presso la casa circondariale di Voghera.
Le perquisizioni hanno dato esito negativo, eccetto quella eseguita presso un garage di proprietà del Gangemi, in via Vecchio Cimitero n.45, all’interno del quale sono stati rinvenuti:
- 1 mitraglietta marca Norinco mod. 320 matricola SA 03307 semiautomatica cal. 9 parabellum comprensivo di 2 caricatori;
- 1 revolver marca Astra matricola R 431988 cal 357;
- 1 pistola marca CZ 75 semiautomatica cal. 9 Luger, matricola da guerra;
- 1 pistola Bernardelli modello AMR cal. 22, matricola abrasa;
- 1 tamburo per revolver cal 9 parabellum matricola R 431988
- 9 cartucce cal 9×21
- 61 catucce cal 9 parabellum
- 49 cartucce cal 9×19 Luger
- 50 cartucce cal 357 Magnum
Nel corso della perquisizione presso il bar “Gran Caffè” sito in viale Zerbi, precisamente nei locali posti al di sotto del livello stradale, è stato individuato nel sottoscala, abilmente celato da un muro, un vano idoneo all’occultamento di armi ed altro, circostanza questa che riscontra le dichiarazioni del collaboratore Lo Giudice circa il destinatario finale dell’arsenale della cosca, trattandosi di un sercizio commerciale nella titolarità del Laurendi, cognato di Leo Lo Giudice, figlio del collaboratore Antonino Lo Giudice.