Vibo Valentia. I dati di gestione non possono prestarsi ad altra interpretazione: palazzo ”Luigi Razza” ha raggiunto il top della sua incapacità politico amministrativa.
La giunta Pdl-Udc, capeggiata dal sindaco Nicola D’Agostino, nonostante i suoi proclamati sforzi, non è riuscita ad andare oltre l’acquisizione di un non evidente trascurabile “buco” di quasi 4 milioni di euro! Con chi bisogna complimentarsi si chiede, legittimamente, il cittadino?
Sicuramente con la sua classe politica e dirigente dimostratasi capace soltanto di avviare il bilancio verso il dissesto. Se sono questi i risultati raccolti a metà percorso di gestione non v’è chi non sia autorizzato a pensare che la catastrofe amministrativa è proprio dietro l’angolo.
Eppure erano stati in tanti, ad elezione avvenuta, a pronosticare una giunta nuova, selezionata e con grande attenzione verso i giovani, pronta a riscattare la tanto vituperata amministrazione Sammarco.
In realtà il nuovo corso della politica comunale ci ha regalato due partiti, Pdl e Udc bravi soltanto a mantenere inalterata la cultura del potere per il potere, rinunciando a priori ad un nuovo sistema di programmare l’attività di un comune capoluogo di provincia che non può non avere responsabilità di una certa portata, considerato il suo non indifferente ruolo e la sua funzione in ambito regionale.
Dall’intesa, ma su questa definizione sorgono sempre più seri dubbi, tra Pdl e Udc, è nato soltanto il fallimento più totale. Lo scenario di una città e della periferia che langue spesso per l’indifferenza ed apatia dei suoi amministratori continua a prefigurarci un Pdl dilaniato nelle sue correnti e che il recente congresso non sembra aver sanato con un Udc ruota di scorta e incapace di poter assolvere all’impegno di partner paritario, soprattutto in sede di giunta.
E in riferimento a quest’ultima condizione forse diventa difficile trovare qualcuno pronto a testimoniare che le delibere presentate di volta in volta in esecutivo abbiano rappresentato il frutto di un minimo accordo tra i due partiti di maggioranza.
Questo vuol dire che il Pdl non ha mai permesso all’Udc di esercitare il suo ufficio di concreto partner e che lo stesso Udc non è mai riuscito a farsi rispettare per il ruolo che occupa nell’esecutivo. Si prenda atto di questa condizione. C’è una via d’uscita per ripristinare una seria e attenta programmazione per un’azione amministrativa risanatrice? Probabilmente sì.
Intanto Pdl e Udc devono ritrovarsi concretamente in affinità di pensiero attorno a un tavolo per concertare una nuova strategia di comportamenti. Occorre, infatti, offrire spazio alla politica delle responsabili intese che passano attraverso un rivisitazione dei compiti che non possono derogare, ad esempio, dalla riduzione del team degli assessori, dalla ridistribuzione ed accorpamento delle commissioni, da una rotazione della dirigenza strutturale.
In questa direzione non si può prescindere dalla opportunità di ridisegnare la mappa degli assessorati affidandoli ad amministratori pronti a compiere sacrifici anche personali, anteponendo gli interessi dell’amministrazione della cosa pubblica a quelli professionali perché chi non è disponibile merita di rimanere fuori dalla porta.
C’è soprattutto alla base la necessità di impegnare i partiti in un diverso modo di offrire sostegno al più complessivo progetto amministrativo. Ad iniziare dal Pdl che continua a non far vedere gli effetti della ritrovata unità congressuale per finire all’Udc che deve far valere il diritto delle sue ragioni, abbandonando la sua discutibile funzione di partito che non batte i pugni sul tavolo.
Infine, conseguenzialmente, non può passare inosservato il fatto che la cultura dei risparmi tarda a prendere piede da queste parti. Non si capisce se occorre attendere perché è in atto un momento di riflessione oppure necessita pazientare in attesa che la popolazione si ribelli legittimamente di fronte alla strafottenza che alberga nell’animo dei nostri amministratori.
Filippo Curtosi
Cisal