Reggio Calabria. La Corte d’Appello di Reggio Calabria, Adriana Costabile presidente, Angelina Bandiera relatore, Lucibello a latere, ha annullato due condanne e assolto 4 ricorrenti del processo “Astrea-Archi”, elargendo sconti di pena per gli altri imputati. Si tratta del processo che, celebrato con rito abbreviato in primo grado dinnanzi al gup Massimi Minniti, pm Giuseppe Lombardo, si era concluso con 10 condanne e 3 assoluzioni. A proporre appello, ovviamente, sono stati i soli dieci condannati. Il processo scaturisce dalle due operazioni, Archi e Astrea, che vedevano gli imputati accusati, a vario titolo, di reati che vanno per alcuni all’associazione per delinquere di stampo mafioso all’intestazione fittizia di beni ed estorsione.
La Corte d’Appello ha assolto, per non avere commesso il fatto: Giuseppe Tegano (16 anni in primo grado, difeso dagli avvocati Abate e Managò), Franco Labate e Pietro Labate (entrambi 20 anni in primo grado) e Pasquale Utano (10 anni in primo grado, difeso dagli avvocati Michele Albanese e Corrado Politi). La Corte, altresì, ha annullato le due condanne inflitte in primo grado a Giuseppe Rechichi (ma solo per alcuni capi d’imputazione per il socio privato della società Multiservizi poi sciolta dal Comune di Reggio Calabria in quanto la Prefettura non ha concesso la certificazione antimafia – il quale in primo grado era stato condannato a 16 anni di reclusione) e a Giovanni Zumbo (il noto commercialista al centro di diverse operazioni – che in primo grado era stato condannato a 5 anni di reclusione); per entrambi la Corte ha annullato la condanna (ma per Rechichi solo per alcuni capi d’imputazione) perché il fatto è diverso da quello contestato, ed ha ordinato la trasmissione degli atti al pm.
Per tutti gli altri imputati, invece, la Corte ha rideterminato la pena in 6 anni e 8 mesi: Giorgio Benestare (16 anni in primo grado) Rosario Aricò, Emilio Firriolo, Alberto Rito (tutti e tre 10 anni in primo grado), Giuseppe Rechichi. L’accusa è stata sostenuta dal pg Ezio Arcadi. La sentenza vede fortemente ridimensionato l’impianto accusatorio.
Fabio Papalia