Saline Joniche. Tra una birretta e una chiacchiera molte band che si esibiranno oggi sul palco principale si sono fermate ai microfoni di Newz.it, tutte molto disponibili e con tanta voglia di raccontare le proprie esperienze e le sensazioni per questo Mad Fest.
Il primo a prender parola è Gianluca Gallo, voce e chitarra del gruppo La Fine:
– Ciao Gianluca, che sensazioni avete per il Mad Fest?
– E’ una bellissima sensazione essere qui perchè è stato un evento sudato e voluto, frutto di tanti sacrifici, esattamente lo stesso impegno che mettiamo noi in ogni concerto, siamo molto contenti di essere qui e anche di incontrare nuovamente i Kutso con cui abbiamo calcato il palco anche in altre occasioni.
– A cosa si ispira il vostro sound?
– Beh sicuramente ai Fugazi, ma fra le nostre influenze non possiamo non nominare gli At the Drive In e gli italiani La Quiete.
– Provenite da una città, Cosenza, che ha una scena molto prolifica in campo di musica indipendente, cos’è importante per costruire una “scena” cittadina secondo te?
– La scena a Cosenza è molto attiva, la nostra band deriva da una “costola” dei Miss Fraulen e di altre band che hanno calcato molti palchi, ciò che manca è la “geografia”, nel senso che siamo molto periferici e per quanto un gruppo calabrese possa valere deve fare il doppio degli sforzi e dei sacrifici per poter raggiungere i luoghi dove poter suonare.
La seconda band è il gruppo romano LeSigarette!!!, un duo molto simpatico e cordiale:
– Ciao ragazzi e benvenuti, com’è stata l’accoglienza in città?
– Un accoglienza bellissima, i ragazzi ci hanno coccolato sin dall’inizio, è stato bellissimo anche sapere il motivo per cui siamo qua, ossia per dare una mano a Limitazione nella creazione di un qualcosa che ci identifica parecchio. Direi perfetto, bellissimo.
– Venite da Roma, città con una forte identità di musica indipendente. Qual’è la vostra esperienza in una scena musicale?
– Creare una scena è qualcosa che viene da sè, sono molto importanti questi eventi perchè creano unione, coesione, fanno network. E’ importante che i gruppi di una città creino questa tipologia di eventi in cui tutti suonano assieme per un fine comune. E’ molto importante anche essere “connessi” con altre identità cittadine, per poter diffondere la musica indipendente e dar modo ai locali di poter ospitare un certo livello qualitativo di concerti. Al nord è da molto tempo così, qui al sud ci stiamo abituando pian piano.
– Descrivete un po’ la vostra musica
– Oddio, che bella domanda. Beh, direi per la nostra storia adolescenziale senza dubbio i Nirvana, ma non tanto come sound quanto come esperienza comune fra noi due. A me – dice Jacopo- piace moltissimo anche la musica alternativa sudamericana, quel nuovo indie che amalgama molto le sonorità folk con quelle elettronica.
– Un po’ come i Sepultura di “Ratamahatta”?
– Ahahaha, dai, un po’ più leggerini!
Per ultimi, ma non come importanza, i Kutso, che attraverso il proprio cantante Matteo si soffermano volentieri a chiacchierare con noi.
– Prima volta a Reggio, che impressione ti hanno fatto i ragazzi di Limitazione?
– Beh sicuramente dei ragazzi con grandissima volontà, hanno avuto una bellissima idea in mente e con tenacia, sconfiggendo burocrazia e cavilli vari sono riusciti a trovare una location idonea a questo bel festival. Si sa, gli aiuti istituzionali quando si tratta di musica indipendente sono abbastanza nulli e quando ti viene promossa un’iniziativa è spesso in un loco poco idoneo o marginale.
– Quali sono secondo te i segreti per creare coesione fra i gruppi di una città?
– Guarda, forse non sono la persona adatta a dare consigli in tal senso, io sono un artista molto individualista e per me la creazione di una scena, se avviene, è solo per una questione di spontaneità se ci si trova bene a far festa assieme e a suonare. Ma il musicista medio non è un umanista, tende molto a guardare il proprio interesse e a promuovere il proprio messaggio, indipendentemente da dove e con chi suona. Certe volte le creazioni di vere e proprie scene sono state deleterie per il movimento, perchè spesso create da chi non fa propriamente musica ( locali, manager, case discografiche) per mettere “paletti” e regole per vendere meglio il prodotto. Il musicista deve andare avanti per la sua strada, a nutrirsi di vana gloria, come Garcia Lorca sosteneva, e, molto praticamente, anche a “monetizzare” al meglio il proprio impegno. Anche le band che fanno discorsi “sociali”, prendo per esempio Manuel Agnelli e la sua espressione di “musicisti contabili”, sono in realtà molto individualiste e si prefiggono scopi prevalentemente personali, cosa che io approvo assolutamente perchè se non stai attento ai conti tutta la tua arte rischia di finire “a gambe all’aria”.
– Hai nominato Agnelli e quindi mi viene spontaneo chiederti: avete un sound che richiama moltissimo il punk scanzonato degli anni ’90, gruppi come Punkreas, Derozer, Peter Punk, Pornoriviste, Afterhours. Vi sentite un po’ in controtendenza visto che va sempre più diffondendosi questa tipologia di indie arzigogolato che tende a lanciare messaggi più “poetici” rispetto al vostro modo diretto di “sputare” la verità in faccia con parole semplici e taglienti?
– Ci hai interpretato davvero bene, siamo una band che va dritta al punto del discorso, abbiamo poche velleità poetiche ma non perchè non ci piaccia la poesia ma perchè musica e “leggere un libro” sono una cosa diversa. Sui gruppi indie mi viene sempre in mente una frase di Giorgio Gaber, che diceva ” Fare discorsi convenzionali con un tono da intellettuale”. Fondamentalmente sia noi che altre band diciamo le stesse cose, solo che qualcuno deve darsi una parvenza di “glottologo” giusto per gettare fumo negli occhi per nascondere le “stronzate” che dicono. Noi non siamo niente di tutto questo, e anzi grazie anche ai costumi realizzati dal nostro chitarrista Donatello ( che molti interpretano come un fattore demenziale, ma è tutt’altro) riusciamo a far passare bene il nostro messaggio, che è sostanzialmente un grande “vaffanc…” a tutto ciò che odiamo, a partire dalle istutuzioni tutte, da quelle musicali a quelle sociali. Purtroppo tutto ciò che nasce come gruppo crea èlite, anche quello che nasce come alternativo o come popolare. Questo lo aborro e credo che sia uno dei problemi maggiori nella creazione di una scena musicale.
Per quanto riguarda i riferimenti che hai fatto riguardo al punk italiano degli anni ’90 mi fa molto piacere, non solo perchè con alcuni gruppi come ad esempio le Pornoriviste ho calcato il palco, soprattutto durante la mia esperienza come batterista hardcore-punk, ma perchè io quella scena l’ho vissuta in prima persona e ho ricordi bellissimi di quei tempi e di quelle band.
– Tante presenze anche in palchi importanti, fra i quali spiccano il Festival di San Remo e il Concerto del Primo Maggio. Cosa vi hanno lasciato queste esperienze?
–Io sono dell’idea che tutte le grandi opportunità che si pongano di fronte a una band vadano assolutamente sfruttate, l’importante è non snaturarsi mai e comportarsi con un determinato pubblico esattamente come ti comporteresti con un altro. E’un dovere sfruttarle, anche per il discorso di prima del “musicista contabile”. Molti “oltranzista vedono male, ad esempio, la nostra partecipazione a San Remo, ma credo sia solo invidia. ” Questa musica è di nicchia, la ascolto solo io e non voglio che sia data in pasto al pubblico”, ma che ragionamento è? La musica è di tutti e se qualcuno ha l’opportunità di mostrarla in un palco famoso perchè no? Non siamo mica aristocratici. Le situazioni come San Remo e il concerto del Primo Maggio ti mettono di fronte a un contesto di professionalità incredibile in cui l’artista cresce moltissimo. Certo, non parlo del messaggio che passa con San Remo, quella è l’Italia media, ufficiale. Che cosa puoi pretendere dall’ Italia ufficiale? Un discorso molto “correct”, molto medio. Però se ci pensi questo San Remo di Carlo Conti è stato senza dubbio molto rivoluzionario, ha avuto un grande coraggio con molte band come noi, cosa che nelle precedenti edizioni di Fabio Fazio non era assolutamente avvenuta. Abbandoniamo i clichè e i luoghi comuni, l’importante è lavorare. A me non importa il contenitore, ci basta poter essere quello che siamo, e a San Remo tutto ciò è avvenuto. Certo, non ci hanno potuto chiamare con la corretta pronuncia del nostro nome ( Kutso infatti va letto all’inglese, ndr), ma chi se ne frega!
William D’Alessandro