L’Isis è uno “Stato mafia” e come tale deve essere trattato. Così come vengono trattati i grandi casati di mafia in Italia: senza sconti. Anche per questo in Italia ad occuparsi del coordinamento delle indagini sull’estremismo islamico saranno i magistrati della Direzione nazionale antimafia, guidati da Franco Roberti. Attività di accertamento che vede coinvolta anche la Procura della Repubblica di Reggio Calabria ed il pool di magistrati messo in campo da Federico Cafiero de Raho (nella foto da sinistra: Franco Roberti e Federico Cafiero De Raho).
Per il capo della Dna, che ha presentato la sua relazione davanti ai componenti della Commissione parlamentare antimafia guidata da Rosi Bindi, lo Stato nascente del radicalismo islamico è “innanzitutto sia uno Stato mafia, che si muove come un’organizzazione di tipo mafioso transnazionale, potendo disporre per svolgere i propri traffici criminali transnazionali, con i quali si autofinanzia e si autoalimenta, di un territorio, di relazioni esterne all’organizzazione, di soggetti che lo rafforzano e di territori esterni a quelli di insediamento dello Stato islamico”.
Lo sforzo di indagine e razionalizzazione del lavoro è importante. La Dna, che ancora aspetta l’arrivo di due nuovi magistrati, può contare sull’apporto di venti professionalità e, nonostante questo deficit di organico, si è impegnata in uno sforzo di aggiornamento e di studio sulle tematiche legate al terrorismo, senza “accantonare le attività di impulso e di coordinamento della materia antimafia”. “Si tratta – ha detto Franco Roberti – di uno sforzo notevole sia organizzativo che di impegno personale e di ufficio. Poiché riteniamo che per contrastare efficacemente il terrorismo sia indispensabile aumentare l’efficacia del contrasto dei reati di criminalità organizzata transnazionale, a cominciare dal traffico di stupefacenti, passando per i traffici di rifiuti, i traffici di esseri umani, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, i contrabbandi di merci, i contrabbandi di petroli, tutto ciò che alimenta le casse dello Stato islamico, riteniamo di dover incrementare i livelli di contrasto alla criminalità organizzata di tipo mafioso”.
Per non sottovalutare nessun dato “spia”, il procuratore Franco Roberti ed i suoi più stretti collaboratori si sono dovuti “inventare un catalogo di delitti” che possa essere catalogato all’interno del contenitore di norme del codice di procedura penale. La Dna, poi, ha attivato una fitta rete di contatti con le procure estere finalizzata alla raccolta di informazioni sul nascente Stato islamico.
Un aspetto importante segnalato da Franco Roberti ai componenti della Commissione parlamentare antimafia è quello legato alle intercettazioni telefoniche ed al suo utilizzo nelle indagini contro il terrorismo islamico. Per il capo della Dna, quindi, il tema principale è quello di imporre ai gestori di telefonia che vogliano esercitare la loro attività nel nostro Paese di aprire una sede legale anche in Italia. Una scelta che consentirebbe di accorciare i tempi delle rogatorie. Tra l’altro il problema si pone non solo oggi per le indagini sul terrorismo, ma si pone già da tempo per le indagini contro i narcotrafficanti. “Le intercettazioni telefoniche – ha spiegato Franco Roberti – sono molto difficili da realizzare anche perché ormai i trafficanti hanno imparato e comunicano su Skype e sui social network, sui mezzi informatici di difficile o impossibile intercettazione, se non tramite attività rogatoriale, perché i server e i gestori di queste società di telefonia si trovano tutti all’estero, quindi per arrivare al server dobbiamo fare una rogatoria. I tempi della commissione rogatoria sono però assolutamente incompatibili con le attività investigative connesse ai traffici di stupefacenti, che devono essere svolte immediatamente perché bisogna seguire la droga. Per seguire la droga devi utilizzare le intercettazioni, ma se aspetti la rogatoria non lo fai”.
Giovanni Verduci