Roma. Dalle prime luci dell’alba, circa 250 militari del Comando provinciale Carabinieri di Roma, con l’ausilio di unità cinofile, un elicottero dell’Arma e del personale dell’8° Reggimento Lazio, sono impegnati fra Roma e le province di Reggio Calabria e Cosenza per eseguire 31 misure cautelari in carcere, emesse dal Gip del Tribunale di Roma, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia capitolina, nei confronti di altrettanti soggetti fra cui 11 donne, a diversi dei quali viene contestato anche l’art. 416 bis, per avere costituito e preso parte all’associazione mafiosa denominata “clan Casamonica” operante nella zona Appia-Tuscolana della città di Roma, con base operativa in vicolo di Porta Furba. Il ruolo apicale di promotore è stato attribuito dagli inquirenti a Giuseppe Casamonica, recentemente uscito dal carcere dopo circa 10 anni di detenzione. Gli arrestati sono ritenuti responsabili, in concorso fra loro e con ruoli diversi, di aver costituito un’organizzazione dedita al traffico e allo spaccio di sostanze stupefacenti, nonché di ulteriori reati quali l’aggravante del metodo mafioso.
Le indagini, condotte dai Carabinieri del Nucleo investigativo di Frascati sotto la direzione della Direzione distrettuale antimafia di Roma, sono state avviate nell’estate del 2015, ancora prima degli sfarzosi funerali di “zio Vittorio“, ed hanno permesso di documentare l’esistenza di un’associazione mafiosa autoctona strutturata su più gruppi criminali, prevalentemente a connotazione familiare, dotati di una propria autonomia decisionale, operativa ed economica e dediti a vari reati tra i quali lo spaccio di stupefacenti, l’usura, le estorsioni ed altro. Nel corso delle attività, che si sono basate anche su una ricostruzione storica dei procedimenti penali che negli anni hanno riguardato a vario titolo alcuni componenti del nucleo familiare, documentandone anche i legami nel tempo con altre organizzazioni criminali di stampo mafioso insediatesi nel territorio capitolino, è emerso come il clan Casamonica si avvalga tuttora di una forza numerica che, unita alla totale chiusura verso l’esterno, alla disponibilità di armi ed all’utilizzo di una lingua difficilmente decifrabile, conferisce forza al gruppo, permettendo ad ogni singolo appartenente di avere atteggiamenti di prevaricazione e minacciosi nei confronti dell’esterno, avvalendosi anche della forza intimidatrice oramai insita nel nome “Casamonica”.
Le indagini, che per la prima volta nello specifico ambito si sono avvalse anche delle dichiarazioni rese da un testimone e da un collaboratore di giustizia intranei al sodalizio, hanno documentato una fiorente attività di spaccio nella zona sud-est della Capitale, con canali di approvvigionamento anche dalla Calabria, nonché numerosi episodi di estorsione ed usura in danno di commercianti e imprenditori, del posto e non, che a loro si sono rivolti nel tempo per prestiti di somme di denaro, anche consistenti, stabilendo di fatto con i creditori un legame a vita. Si è accertato, infatti, che le persone offese, una volta ricevuto un prestito dai Casamonica, non riescono praticamente più a sottrarsi alle richieste di denaro da parte degli indagati, che continuano anche a distanza di anni e che, a un certo punto, assumono innegabile matrice estorsiva in quanto sono oggettivamente prive di ogni giustificazione e si fondano esclusivamente sulla forza di intimidazione del gruppo, che spesso non ha neanche la necessità di far ricorso a minacce esplicite per ottenere la consegna di quanto indebitamente preteso. Tra le vittime anche personaggi noti del mondo dello spettacolo, come il noto conduttore radiofonico Marco Baldini.
Le manette sono scattate anche per un calabrese di San Luca affiliato a una nota famiglia mafiosa operante nella Locride che rappresentava uno dei canali di rifornimento della cocaina per i Casamonica attestati a Porta Furba: si tratta di Domenico Strangio, cl. 94, di San Luca e dimorante a Roma.
Fra gli arrestati anche appartenenti ai cugini Spada, alcuni dei quali abitanti in vicolo di Porta Furba. Fra essi anche il noto pugile, ex campione italiano, Domenico Spada, detto “Vulcano”.
Contestualmente alle misure cautelari è in atto il sequestro di diversi beni, tra cui una palestra a Marino (RM) riconducibile a “Vulcano”, un ristorante alle spalle del Pantheon, un centro estetico e una discoteca a Testaccio, oltre a numerosi conti correnti a autovetture nella disponibilità degli indagati. Nello stesso contesto si sta procedendo anche al sequestro di diversi alloggi popolari dislocati a Roma e provincia, attualmente occupati irregolarmente da alcuni degli indagati. E’ stato accertato come, da oltre 10 anni, uno di essi sia stato usurpato con violenza e minaccia armata al legittimo possessore, oggi ultrasettantenne, costretto a vivere per strada.
Unitamente a personale dell’Agenzia nazionale dei beni confiscati, infine, si sta procedendo alla formale immissione in possesso di ulteriori 4 immobili, già confiscati in via definitiva e tuttora occupati da alcuni destinatari di misura cautelare coercitiva. Nel corso delle perquisizioni sono stati rinvenuti e sequestrati vari conti correnti, circa 50 mila euro in contanti, 20 autovetture, decine di orologi di lusso e numerosi appunti manoscritti utili al prosieguo delle indagini.