Marina di Gioiosa Jonica (Reggio Calabria). La prima sezione del Tar del Lazio (Ivo Correale presidente facente funzioni, Roberta Cicchese consigliere, Lucia Maria Brancatelli estensore) ha annullato lo scioglimento del Comune di Marina di Gioiosa Jonica deciso dal governo nel 2017 per infiltrazioni mafiose. Sindaco all’epoca dello scioglimento era l’avvocato Domenico Vestito, che ora tornerà a guidare il Comune fino alle elezioni in primavera. Vestito era stato eletto sindaco nel 2013 supportato dalla lista civica “Libertà è partecipazione”. Il Comune di Marina di Gioiosa Jonica era stato sciolto anche nel 2011 per infiltrazioni mafiose.
Le motivazioni del Tar del Lazio che ha accolto il ricorso avverso lo scioglimento
Il Tar Lazio ribadisce quanto precisato dal Consiglio di Stato nell’aprile 2015 secondo cui lo scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni mafiose costituisce una misura straordinaria di prevenzione, che l’ordinamento ha apprestato per rimediare a situazioni patologiche di compromissione del naturale funzionamento dell’autogoverno locale.
I giudici osservano che in relazione agli elementi sulla base dei quali può essere disposto il provvedimento di scioglimento ex art. 143 TUEL (il testo unico degli enti locali), le vicende che ne costituiscono il presupposto devono essere considerate “nel loro insieme”, non atomisticamente, e devono risultare idonee a delineare, con una ragionevole ricostruzione, il quadro complessivo del condizionamento “mafioso”.
Entrando nel merito della decisione, il Tar Lazio dà ragione agli ex amministratori, ecco i motivi:
La proposta del Ministero dell’Interno che ha portato allo scioglimento ha dato risalto alla presenza di legami di parentela e di affinità ovvero di frequentazione tra sottoscrittori delle due liste di candidati presentatesi alle consultazioni elettorali.
“Tuttavia – si legge nella sentenza – tale evenienza non viene correlata, neppure in termini ipotetici, alla possibilità di tali soggetti controindicati di condizionare l’operato degli amministratori locali. Anzi, sul punto, la relazione prefettizia, richiamando i risultati della Commissione di accesso, osserva come ‘dalla disamina delle informazioni acquisite dalle Forze di Polizia sugli amministratori locali attuali nulla è risultato'”.
La partecipazione dell’assessore al memorial. Nella proposta del Viminale viene riscontrata, in termini negativi, esclusivamente la figura di un assessore, per l’incompatibilità con la sua attività professionale in seno all’Ente e la partecipazione ad un evento in memoria di un soggetto ritenuto appartenente a una delle cosche operanti nel territorio.
“Le circostanze prodotte, tuttavia – osservano i giudici amministrativi – in coerenza con la giurisprudenza sopra richiamata, non appaiono rilevanti, riguardando contestazioni relative allo svolgimento legittimo dell’attività professionale dell’amministratore e una situazione di carattere episodico (la partecipazione a un “memorial” in ricordo di un soggetto il cui padre era esponente della criminalità mafiosa), priva di significatività ai fini della possibile esistenza, anche solo in termini sintomatici, di contatti fra il predetto ex amministratore e consorterie di stampo mafioso, in assenza di ulteriori elementi”.
Parentela tra un consigliere e uno ‘ndranghetista. Quanto alla parentela tra uno dei Consiglieri eletti e un soggetto legato a una cosca locale, “negli atti a supporto del provvedimento di scioglimento – osservano i giudici – non si dà conto di alcun elemento indiziario a suo carico, ma anzi si sottolinea come lo stesso si sia dimesso nel 2015”. Anzi i ricorrenti hanno prodotto documentazione comprovante come il consigliere non abbia mai esercitato funzioni esecutive svolgendo attività del tutto marginale nell’ambito dei lavori del Consiglio comunale.
Rilievi sulla fase elettorale irrilevanti. Anche gli altri rilievi sullo svolgimento della fase elettorale, pure menzionati nella proposta di scioglimento, non presentano secondo il Tar carattere sintomatico, né sono stati considerati rilevanti nella relazione prefettizia.
Quanto alla presenza di legami e alle parentele tra alcuni soggetti che fanno parte dell’apparato burocratico dell’ente ed esponenti delle consorterie locali, “tale evenienza non è corroborata da evidenze significative in ordine a possibili condizionamenti della loro attività nella gestione amministrativa dell’ente”.
Vicende travisate o solo parzialmente descritte
“In proposito – si legge ancora nella sentenza del Tar – gli atti impugnati richiamano alcune vicende, che tuttavia risultano essere travisate o solo parzialmente descritte, sicché la loro valenza, seppure in termini puramente indiziari, ne risulta compromessa”.
Presunte anomalie e irregolarità negli appalti pubblici e imprese “controindicate”. “Emblematica”, così la definisco i giudici, è la vicenda relativa alla stipulazione di un contratto di appalto, nel febbraio del 2016, avente ad oggetto lavori di consolidamento del lungomare. Il Comune avrebbe omesso di acquisire le informazioni antimafia nei confronti delle ditte subappaltatrici. Tra esse, sarebbero state presenti anche ditte “controindicate”, una delle quali ha ricevuto un provvedimento interdittivo nel febbraio del 2017. Nel corso di un sopralluogo a novembre del 2016, inoltre, sarebbe stato rinvenuto un mezzo intestato a ditte già destinatarie di interdittive antimafia.
Tuttavia, le evidenze acquisite in giudizio hanno dimostrato che: per l’appalto in questione il Comune si era servito della stazione unica appaltante. Nella documentazione di gara era previsto l’obbligo per l’impresa aggiudicataria di trasmettere, dopo la stipula del contratto, l’elenco delle imprese coinvolte nel piano di affidamento, con riguardo alle forniture e ai servizi. Il Comune, dopo avere invitato l’aggiudicataria ad adempiere a tale obbligo, ricevuto l’elenco, provvedeva a trasmetterlo. Avvertito in data 15 febbraio 2017 della presenza nell’elenco di una ditta colpita da interdittiva antimafia. Appena ricevuta tale notizia, il RUP presso il Comune diffidava sia l’impresa affidataria sia il Direttore dei lavori, affinché adottassero gli atti conseguenti; veniva, così, a conoscenza che l’aggiudicataria non aveva più fatto ricorso alle prestazioni della ditta colpita da interdizione.
“Dato atto – scrivono i giudici – della presenza di una simile ricostruzione in punto di fatto, non si riscontrano comportamenti omissivi negligenti ascrivibili agli uffici comunali, che non potevano intervenire in altro modo prima della conoscenza del provvedimento interdittivo”.
![Prefettura di Reggio Calabria](https://www.newz.it/wp-content/uploads/2018/10/prefettura-750x375.jpg)
Notevole ritardo da parte della Prefettura di Reggio Calabria
“Analoghi travisamenti in fatto si riscontrano in relazione alle vicende collegate alle concessioni per la gestione di stabilimenti balneari“. Vengono contestati agli amministratori dell’ente due casi di ritardata notifica di provvedimenti di revoca delle concessioni, a seguito dell’emanazione di altrettante interdittive antimafia. “Dalla documentazione complessivamente presentata in giudizio, tuttavia – secondo i giudici del Tar Lazio – emerge un quadro fattuale caratterizzato dalla presenza di un notevole ritardo nel riscontro delle richieste di informazioni antimafia da parte della prefettura reggina; di contro, il Comune risulta essersi attivato celermente, appena avuto notizia delle interdittive”.
Materia urbanistica ed edilizia. Anche in questa materia vi sono ampi richiami nella relazione in cui si afferma che persone vicine alla criminalità organizzata si sarebbero avvantaggiate dell’inerzia dell’Ente nel concludere i procedimenti demolitori. La relazione prefettizia si incentra su due specifiche vicende e conclude che la loro disamina desta “dubbi in ordine ad un controllo insufficiente da parte degli organi preposti, che finisce per favorire le famiglie legate alle cosche di ‘ndrangheta più pericolose”.
Quanto alla prima vicenda, il Tar osserva che nello stesso provvedimento dissolutorio si dà atto che la demolizione dell’immobile, realizzato nel 2014, è stata disposta immediatamente dopo un sopralluogo intervenuto nel 2017, su impulso della stessa amministrazione comunale. “L’episodio contestato, pur considerato nel ricordato e necessario “quadro di insieme”, risulta di natura isolata e non è in grado di suffragare, anche alla luce di quanto esposto in seguito, l’assunto circa l’esistenza di un atteggiamento inerte da parte degli amministratori locali a fronte al fenomeno dell’abusivismo edilizio che ha favorito anche solo indirettamente la criminalità organizzata del luogo”.
La seconda vicenda descritta nella proposta di scioglimento concerne una attività commerciale, tra i cui dipendenti sono presenti soggetti in rapporti di parentela con elementi di spicco della malavita locale, che si svolgeva in un edificio il cui ultimo piano era stato realizzato abusivamente. In realtà consta che l’opera in questione era stata oggetto nel 2010 di una ordinanza di demolizione, rimasta ineseguita, e che proprio l’amministrazione comunale disciolta, dopo poco più di un anno dall’insediamento, aveva avviato le iniziative per giungere alla rimozione dell’abuso (cfr. la delibera consiliare n. 80 del 29 dicembre 2014 e il verbale di riunione dell’8 maggio 2017 di cui all’allegato 6.21 al ricorso). “Dunque – annotano i giudici del Tar – non risulta confermato l’assunto contenuto nella proposta secondo cui l’ente avrebbe omesso di compere le attività necessarie per dare concreta attuazione all’ordinanza di demolizione”.
Gestione dei beni confiscati. Quanto alle criticità riscontrate relativamente a quest’altro settore, esse si incentrano sulla circostanza che un terreno sottoposto a confisca e consegnato al Comune sarebbe ancora nel possesso dell’ex proprietario. “La circostanza, riportata nella proposta ministeriale, tuttavia – si legge nella sentenza – omette di tenere in considerazione che il fondo in questione, come si evince dalla lettura degli atti prefettizi, non poteva essere recintato né intercluso totalmente, servendo da passaggio obbligato per l’accesso ad un altro terreno comunale. Emerge, poi, dalla lettura degli atti della Commissione di indagine che il Sindaco aveva posto in essere le attività necessarie per destinare alla locale stazione dell’Arma dei Carabinieri uno dei due immobili confiscati al proprietario del fondo, non ottenendo tuttavia un riscontro alla sua richiesta”.
Occupazioni di suolo pubblico. Sono, poi, oggetto di critica l’inefficienza e il disordine amministrativo riscontrati nel settore delle occupazioni di suolo pubblico, di cui avrebbero beneficiato anche esponenti della malavita. In particolare, è contestato l’omesso controllo sulla riscossione dei tributi dovuti in caso di occupazione, di cui si sarebbe avvantaggiato anche un soggetto che gestisce un esercizio pubblico insieme a una persona contigua ad un esponente apicale della criminalità locale. Tale soggetto, inoltre, ha aperto una sala giochi ubicata in locali dati in locazione da un individuo controindicato, nei pressi di una scuola elementare.
“Dalla lettura degli atti della Commissione di indagine, emerge tuttavia che in questo settore era presente in realtà, da numerosi anni, una totale inerzia riconducibile alle amministrazioni comunali precedenti, non colmata neppure nel periodo in cui l’ente era stato sottoposto ad altro commissariamento. Nel gravame, parte ricorrente ha avuto modo di dimostrare come, a fronte di precedente situazione di sostanziale paralisi, la nuova amministrazione non era restata inerte ma aveva introdotto numerose iniziative di risanamento del settore. In sostanza, la situazione censurata nei provvedimenti impugnati risulta precipuamente ascrivibile all’ operato (rectius, all’omesso operato) delle precedenti amministrazioni, sicché non appare corretto ricavare da questo elemento un indice attuale sintomatico della “debolezza” e della capacità di condizionamento degli amministratori locali odierni ricorrenti, da verificare sia pure nel “quadro di insieme” sopra richiamato”.
![Domenico Vestito](https://www.newz.it/wp-content/uploads/2019/02/domenico-vestito-750x375.jpg)
Le conclusioni del Tar Lazio
Il Collegio ha ritenuto che “da una lettura complessiva e non atomistica di tutti gli episodi considerati ai fini dell’adozione del provvedimento di scioglimento, tenuto conto dei ravvisati vizi di travisamento dei fatti e di illogicità nella valutazione dei presupposti, non è possibile ricavare la sussistenza di quegli elementi concreti, univoci e rilevanti, ex art. 143 cit., idonei a configurare la compromissione del buon andamento o dell’imparzialità dell’amministrazioni comunale e la presenza del condizionamento da parte della malavita organizzata. 15”. Dunque, il ricorso merita accoglimento e, di conseguenza, il Decreto del Presidente della Repubblica del 24 novembre 2017 di scioglimento del Consiglio Comunale di Marina di Gioiosa Jonica e gli atti a questo presupposti devono essere annullati. Domenico Vestito tornerà dunque a indossare la fascia tricolore, anche se solo per pochi mesi.
Fabio Papalia