Come si suol dire è “una chicca” quella che “Urbanistica e Città Metropolitana” offre con questa uscita ai propri lettori: la prima parte di uno scritto del 1974 a firma congiunta di Umberto De Martino, uno dei “padri storici” o “padre nobile” dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, e dell’arch. Francesco Nucara, oggi parlamentare e già Viceministro, dal titolo “Assetto e sviluppo territoriale. La conurbazione dello Stretto”.
Un saggio che ancora oggi, a 36 anni di distanza, non esito a definire “esemplare”.
“Assetto e sviluppo territoriale. La conurbazione dello Stretto” è stato pubblicato sul n. 7/8 del luglio-agosto 1974 sulla prestigiosa rivista “Città e campagna”.
(E.C.)
Assetto e sviluppo territoriale. La conurbazione dello Stretto
di Umberto De Martino e Francesco Nucara
(Parte prima)
L’intervento dello Stato a favore del meridione, esplicitatosi in modo disorganico e confuso con una generica politica di opere pubbliche, ha avuto una prima svolta nel ’57 con la istituzione degli incentivi industriali. Ma è alla fine degli anni ’60 con il documento programmatico preliminare, più noto come Progetto ’80, e agli inizi degli anni ’70 con i Progetti Speciali, che finalmente si profilano interventi coordinati di politica del territorio che, con una visione globale, garantiscono interventi organici “integrati”.
Le premesse a tale tipo di interventi così “istituzionalizzati” sono date dalle “diseconomie di scala” delle aree congestionate del Centro-Nord e dalle “non economie di scala” delle aree del Sud.
D’altra parte tutta la “politica meridionalistica” del dopoguerra era tesa a valorizzare più i “presepi” che non le città, e tuttora cospicui finanziamenti sono dirottati verso “aree di particolare depressione” che, se pur encomiabili dal punto di vista sociale, lasciano il tempo che trovano sul piano dello sviluppo economico.
È stata una politica a tutto svantaggio del Sud che ha accentuato l’impoverimento di “materia grigia”, elemento nodale attraverso cui, a nostro avviso, passa lo sviluppo economico. È già dannoso esportare “braccia” (Corrado Gini calcolò che gran parte della ricchezza attuale dell’America è dovuta alle migrazioni del primo ‘900) ma è addirittura deleterio esportare “cervelli”.
La via dello sviluppo passa attraverso le città? A parer nostro, sì! In una concezione evidentemente più moderna delle vecchie città addossate ai bacini minerari, poiché la velocità degli scambi è diversa da quella di cento anni fa. Ma quale tipo di città? Megalopoli, metropoli, sistema di città o piccola città?
Il nostro sforzo si concentrerà appunto nel ricercare quale possibile soluzione si prospetta per le due città dello Stretto e in base a quali premesse.
Il nostro schema di ricerca parte dall’ipotesi, peraltro suffragata da documenti programmatici nazionali e da vasta bibliografia, che tra Reggio e Messina vi è in atto “una conurbazione” e che con opportuni interventi detta conurbazione dovrà diventare il centro propulsore della prevista area metropolitana dello Stretto.
Concettualizzazione
La «conurbazione» nasce dalla necessità di un incontro tra cittadini che pur appartenendo ad unità amministrative e spaziali diverse – spinti da comuni interessi – incominciano a intrattenere dei rapporti che da saltuari tendono a diventare continuativi e quindi permanenti. Essa consiste in un gruppo di agglomerati urbani più o meno in stato di fusione che si è andato sviluppando in un periodo di tempo, usualmente, ma non sempre, intorno a un centro dominante.
Per un periodo di un secolo e forse più le persone si sono mosse dalle aree rurali verso le zone industriali e/o i centri di affari, in cerca di più opportunità e migliori condizioni di vita. In seguito, a causa del sovrappopolamento dei centri di città, le persone hanno cercato di «risiedere» fuori dai confini cittadini. Il risultato, in questi casi dove l’industrializzazione prese posto inizialmente in città raggruppate abbastanza vicine tra loro, è stato di produrre uno stato di unione che è caratteristico della maggior parte delle conurbazioni. Ma quali sono i valori per sapere se tra due o più centri esiste «l’effetto-conurbazione»?
E come si devono svolgere questi rapporti? Unilateralmente, bilateralmente o secondo una pluralità di stimoli che renda questi centri interdipendenti?
Il primo a definire la conurbazione fu Patrick Geddes (1); ma il Geddes pur avendo il merito di aver già, nel 1915, sensibilizzato alcuni problemi che si stavano manifestando, in quel periodo, intorno alla Grande Londra, non ha dato e non poteva dare il significato che la parola «conurbation» ha acquistato oggi diversificandosi nel tempo e nello spazio. Infatti, scrive Lewis Mumford (2): «The new urban emergent, the coal-agglomeration, which Patrich Geddes called the conurbation, was neither isolated in the country nor attached to an old historic core. It spread in across of relatively even density over scores and sometimes hundreds of square miles. There were no effective centres in this urban massing: no institutions capable of uniting its members an active city life: no political organization capable of unifying its common activities… …These new cities not merely failed for the most part to produce art, science or culture. They failed at first to import them from other centres».
Ma il concetto di conurbazione che intendiamo noi è proprio «l’esatto contrario» di quanto riportato dal Mumford sulla conurbation inglese. Con la «conurbazione» si intende ripartire in un territorio più vasto dei servizi usufruiti e usufruibili da tutti, «urbani» e «rurali», e di cui già adesso gli stessi se ne servono – perché hanno interessi comuni – ma in maniera poco efficace perché non «organizzati» in tale prospettiva. Né è soddisfacente, a nostro avviso, il presupposto che ci sia una «regione edificata molto densamente ed occupata da un abitato fittissimo» (3). Per noi la conurbazione deve essere una città-comprensorio in cui i problemi dello sviluppo e dell’assetto del territorio devono essere visti in un quadro globale che tenga conto della pluralità di interessi e proponga un equilibrato assetto territoriale e socio-economico.
In questo quadro di città-comprensorio è corretta, secondo noi, l’indicazione del Rao (4) quando parla di «sincronismo» nelle conurbazioni, soltanto che il concetto posto dal Rao in termini spaziali va allargato considerando quest’ultimi in posizione subalterna rispetto agli elementi «a-spaziali». In altri termini, la fascia urbanizzata di un centro può rimanere immutata pur provocando urbanizzazione con un centro vicino. Basti pensare a come è mutato il concetto di distanza tra centri con il mutare dei mezzi e delle vie di comunicazione.
È opportuno rilevare, peraltro, che non esiste un criterio «rigoroso ed onnicomprensivo» per determinare le conurbazioni. Un criterio che sia valido nello spazio e nel tempo a parer nostro non esiste.
Possiamo, ovviamente, utilizzare alcuni indici di «caratterizzazione» che assieme al «background» storico-sociale ci aiutano a delimitare il territorio della conurbazione e a verificare l’esistenza della stessa. Ma ha ragione il Gorio (5) quando afferma che «il territorio in relazione vitale con la città non è un’entità superficiale, delimitabile mediante confini geografici, ma è un’entità funzionale in continua trasformazione». Il Sestini (6) individua due elementi statistici di «prima approssimazione» per la delimitazione territoriale delle aree urbane facenti parte della conurbazione:
- Densità della popolazione (rapporto ab./Kmq):
- «valore soglia» minimo 400 abitanti per Kmq
- Rapporto di ripartizione professionale Popolazione non agricola X 100: Popolazione attiva:
- «valore soglia» minimo 75%
A questi due indici ne andrebbero aggiunti altri che il Sestini, nella sua breve memoria, ha anticipato senza peraltro definire. Essi sono:
- Rapporto di dipendenza
- Popolazione non attiva X 100: Popolazione attiva
- Saldo della popolazione
- Densità sociale
- Peso demografico
- Raggio della conurbazione
Questi ultimi due sono stati presi a base per il lavoro della SVIMEZ (7). Si fa notare, però, che il raggio della conurbazione, stante il miglioramento dei tempi di percorrenza, previsto in 15-20 Km può essere portato a 20-30 Km, mentre può restare inalterato il peso demografico previsto in 100.000 abitanti. L’indice di densità sociale può essere definito mediante una serie di sub-indici. La difficoltà sta nell’individuazione dei valori «soglia» che «definiscono» la conurbazione. Per la determinazione della «soglia», nel caso in cui non si dia per acquisita (Sestini, Svimez), sarebbe necessario un approfondito studio sulle conurbazioni esistenti ed estrapolare poi dei valori medi. I valori «soglia» non sono e non possono essere statici ma si evolvono con l’evolversi delle condizioni ambientali, fisiche e socio-economiche. Gli indici proposti dal Sestini si riferiscono a tutte le unità statistiche, considerate caso per caso, che fanno parte della conurbazione. La conurbazione non deve essere considerata come «una entità geo-topografica» (8) ma piuttosto con riferimento alla sua «densità sociale» (9). «L’autonomia è legata a un certo grado di isolamento. La città satellite (10) è in pericolo di perdere il suo carattere distintivo e di diventare un’unità periferica o semplicemente un quartiere della città vicina (attraverso un rapido assorbimento amministrativo, se gli spazi edificati si riuniscono, se il passaggio dall’una all’altra diviene troppo facile e appunto perciò troppo frequente)» (11).
È quindi necessaria l’interruzione «dell’agglomerato urbano edificato» con zone rurali, con grandi parchi per il tempo libero e con «polmoni boschivi».
Accanto a questi problemi di ordine topografico, vi sono, non meno importanti, i problemi amministrativi. La città «strictu sensu» non esiste più ma esiste invece una «città reale» che è data dalla città originaria e «dai suoi complementi suburbani». Le questioni amministrative vanno viste in «una scala d’insieme», superando il tradizionale concetto di città «in favore delle conurbazioni».
È chiaro, però, che queste nuove unità amministrative devono essere «istituzionalizzate», poiché sono sicuramente destinate al fallimento tutte le associazioni volontarie (che sanno di Pro-loco) o consorzi di comuni.
In questo contesto anche i piccoli comuni rurali con bilanci insignificanti e «armatura urbana» quasi nulla, possono svolgere un importante ruolo. Infatti, i comuni urbani inseriti in un contesto formato da unità amministrative spezzettate con problemi urbanistici a volte contrastanti «impediscono qualsiasi politica fondiaria, qualsiasi visione d’insieme e qualsiasi cooperazione efficace» (12).
Tutto il comprensorio trae vantaggio dalla conurbazione. I comuni rurali perché vengono immessi in uno schema di «servizi» destinato a rompere l’isolamento in cui si trovano e a far giungere anche a queste popolazioni «l’effetto-città». I comuni urbani perché possono programmare meglio il loro assetto urbanistico senza essere «strangolati» dalla «speculazione» fondiaria e da «squallide» periferie.
NOTE
(1) Patrick Geddes: Cities in evolution – Londra 1915
(2) Lewls Mumford: The City ih Hlstory
(3) Jean Gottman: Le prospettive dell’urbanizzazione – Nord e Sud mazo 1964 pag. 15
(4) A. Rao: La conurbazione napoletana – Nord e Sud n. 64 aprile 1965, pag. 58
(5) F. Gorio: Roma-Città e Territorio. In Fondazione Della Rocca – Studi Urbanistici Voi. I pag. 197
(6) A. Sestini: Qualche osservazione geografìco-statìstlca sull conurbazionì italiane. Supplemento a vol. LXV della “Rivista Geografica Italiana” pag. 313-28.
(7) Informazione Svimez n. 8-9 marzo 1966 pag. 176
(8) J. Francois Gravìer: La pianificazione territoriale in Francia
(9) A. Aquarone: Grandi città e aree metropolitane
(10) In questo caso Reggio poiché ha un’armatura urbana più debole dì quella messinese
(11) Pierre George: Geografia della città
(12) J. Francois Gravier: Op. cit.