Reggio Calabria. Succede anche ai grandi cantanti, attori e sportivi. Quando il successo e la fama raggiungono il picco, quando sembrano invincibili e se la ridono degli avversari ridotti ai minimi termini, ecco che la luce dei riflettori e il troppo potere accumulato danno alla testa e spingono all’autodistruzione. Il centrodestra governa Reggio Calabria dal 2002 e, almeno da tre anni, ama “vincere facile” ogni competizione. Nel 2007 ha sparato sulla Croce Rossa, riconquistando il Comune con Scopelliti, lasciando 44 (quarantaquattro!!!) punti di distacco all’”armata Brancaleone” coalizzatasi attorno a Lamberti Castronuovo ed espugnando 10 circoscrizioni su 15. Nel 2008 ha fatto “tabula rasa” alle politiche e quest’anno ha ottenuto il colpaccio di mandare il suo primo cittadino ad occupare la poltrona più alta della Giunta regionale: a Reggio (come nella stragrande maggioranza dei Comuni calabresi) non c’è stata partita per il centrosinistra, a cui è rimasta solo la bandiera della Provincia di Pinone Morabito. Sul perché di questi voti bulgari per il Pdl abbiamo tanto da dire e – più delle nostre parole – contano le inchieste giudiziarie degli ultimi mesi, a partire dalle operazioni “Meta” e “Il Crimine”, che stanno mettendo ai raggi x i rapporti tra malavita ‘ndranghetista, malapolitica e malaimprenditoria negli anni d’oro dello “scopellitismo”. Ma questa è un’altra storia, direbbe Lucarelli. Giunti in vetta, ora comincia la parabola discendente. A soli quattro mesi dalle elezioni regionali, il centrodestra si è sfaldato in riva allo Stretto. Da quanto “Peppe” ha lasciato l’incarico al suo vice Raffa per trasferirsi a Catanzaro, in seno al Pdl sono emersi tutti i fantasmi dei vecchi scontri tra ex An ed ex forzisti, generando, prima nei corridoi e poi pubblicamente, feroci liti di vicinato e beghe da osteria. Un contenzioso che ieri è riuscito a generare l’inimmaginabile: la sfiducia di fatto da parte dei consiglieri e assessori del centrodestra (non solo del Pdl, ma anche delle liste alleate) nei confronti del sindaco Raffa, a cui sostanzialmente rinfacciano di aver messo i bastoni tra le ruote a Scopelliti e di giocare in proprio. Non si sa se nelle prossime ore “SuperPeppe” riuscirà a calmare, almeno in apparenza, le acque, fatto sta che le ferite sono così profonde da far pensare a strascichi che giungeranno fino alle elezioni amministrative del prossimo anno. Elezioni alle quali le destre rischiano di giungere spaccate almeno in tre, con un colpo mortale all’idea del partito unico berlusconiano: lealisti di Scopelliti contro nostalgici di Forza Italia, con in più l’incognita della “scheggia impazzita” Paolo Gatto, che rivendica un ruolo e una candidatura anche all’area di Gianfranco Fini. A ciò si aggiunge la posizione defilata dell’ Udc “verso il Partito della nazione”, nel Reggino e in Calabria salda alleata del Pdl, che si guarda intorno, siede su più tavoli e minaccia “terzi poli” (quinti, sesti o settimi, a questo punto). Un disastro che, insomma, rischia di mettere in discussione quella che i più degli osservatori intravedevano come una nuova facile vittoria del centrodestra a Palazzo San Giorgio. Un clamoroso assist alle forze progressiste, che ora potrebbero tirare contro la porta lasciata sguarnita. Questo, se ci fosse un minimo di spirito di squadra e di coraggio da parte del centrosinistra; se quello che dovrebbe essere il principale attaccante di tale compagine – il Partito Democratico – non fosse intento per eccesso di “fair play” a stare fermo con la palla ai piedi, in attesa che gli avversari si riprendano dalla confusione. Scusate i ripetuti raffronti calcistici (che poi vengono da uno che non si strappa i capelli per tale sport), ma li reputo appropriati per descrivere una situazione che ha dell’incredibile. Nemmeno in questi giorni, nemmeno nelle ultime ore un sussulto di orgoglio da parte del Pd, ormai passato alla Carboneria. La segretaria cittadina Consuelo Nava si è dimessa da tempo, in aperta polemica, e non è stata mai sostituita. Il segretario provinciale, Giuseppe Strangio, ha staccato il cellulare la notte del 29 marzo e da allora si è dato alla macchia: chiamate “Chi l’ha visto?” se vi capita di incrociarlo accidentalmente. L’ (ex) “uomo forteù”, Peppe Bova, in sostanza non fa nemmeno più parte del Pd, avendo aderito in Consiglio regionale al Gruppo misto. Le seconde e le terze linee, come gli eletti al Comune e la Provincia (dove non esiste nemmeno un gruppo del Pd e i suoi consiglieri sono spalmati in cinque diverse stanze), semplicemente tacciono in attesa di tempi migliori e rifuggono dalla partecipazione a iniziative pubbliche tematiche, temendo di non sapere cosa dire. Il commissario regionale ancora non ha affrontato il “caso Reggio” e forse tenterà di farlo non prima di ottobre. Dopo l’estate, con calma. Anche il Pd, probabilmente, dava per persa la partita delle comunali. Ora che i margini si sono in qualche modo riaperti, è sconvolto dalla possibilità di dover riscendere in campo. I suoi dirigenti lampadati e in Jaguar aborrono l’idea di dover sacrificare gli hobby preferiti per sedersi a un tavolo con le cosiddette “forze minori” per ascoltare le proposte di quei “rompiscatole” che da mesi sognano l’assalto al cielo. “Del resto mia cara, di che si stupisce, anche l’operaio vuole il figlio dottore e pensi che ambiente ne può venir fuori, non c’è più morale, Contessa…”. Come i nobili decaduti della canzone di Paolo Pietrangeli, il Pd teme di perdere i presunti privilegi rimasti ed odia quei “quattro straccioni che han gridato più forte”. Nella sua clandestinità dorata se la ride delle assemblee in piazza e dei forum partecipati, promossi dai soggetti che non vogliono perdere senza aver almeno giocato la partita e si sono compattati attorno alla candidatura di Massimo Canale. Se ne infischia che forze come il Prc, il Pdci, Idv, i Verdi e Sel (quest’ultima con una posizione più articolata) – che a Reggio, messi insieme, pesano a livello elettorale più del Pd – si siano già messe in cammino, incrociando associazioni, movimenti e numerosi singoli cittadini. Ma anche i più altezzosi capicorrente Democrats sanno che questo silenzio non può durare all’infinito e che verrà il momento delle scelte: senza troppa fretta, dicono. Eppure arriverà. Non esistono più i paracadute degli anni passati e anche loro saranno costretti a giocare a carte scoperte: qualunque sarà la via d’uscita che proporranno – apertura di un nuovo tavolo interpartitico, primarie di coalizione, condivisione del percorso di Massimo Canale o rottura del centrosinistra – sono consapevoli che ne dovranno rendere conto a ciò che resta del loro elettorato e della base. Un paradosso: per il Pd, che dalle parti di Reggio ormai sfiora il baratro del 10%, si profila lo stesso rischio che questo, altrove ,ha indicato alle forze della sinistra radicale. Quello della marginalità, del settarismo, della chiusura in una “riserva indiana”, se non del suicidio collettivo. Se anche questa volta, nonostante le divisioni e le bufere giudiziarie, le destre riconquisteranno Palazzo San Giorgio e magari metteranno mano anche alla Provincia, i reggini non sopiti già sanno chi accompagnare pacificamente a calci nel posteriore verso la ghigliottina politica.
Omar Minniti,
consigliere provinciale Prc