Reggio Calabria. Entra accompagnato da Angela Napoli, che coordina Futuro e Libertà in Calabria e da Fabio Granata, vice presidente della Commissione parlamentare antimafia, a seguirlo, subito dietro Giuseppe Scopelliti e Alberto Sarra, quasi a simboleggiare con un’efficace rappresentazione plastica il corso inesorabile del tempo, un passato in cui entrambi i politici reggini erano in trincea al fianco del loro leader ed un presente che li ha scoperti percorrere separati la strada verso il futuro. Un passato che sebbene non possa essere dimenticato, occupa ormai un posto che sta dietro i pensieri qualificanti dell’azione politica attuale di Gianfranco Fini. Il Presidente della Camera è entrato ieri pomeriggio nellauditorium “Nicola Calipari” di Palazzo Campanella a Reggio Calabria conservando, tuttavia, uno dei tratti tipici della destra italiana. Un elemento distintivo, che per uno dei frequenti paradossi della storia umana, merita di essere esposto in bella evidenza, come se non fosse ovvio per l’identità di una parte politica tradizionalmente identificatasi con le parole di battaglia di legge e ordine, condurre battaglie all’insegna del rispetto scrupoloso della legalità. Ma oggi Fini è altro, quella è solo una precondizione del suo agire politico. Guai, del resto, se così fosse, se cioè si traducessero, lui e Futuro e Libertà, in una sorta di clone di movimento dipietrista collocato su lato opposto dell’agone politico. No, le ambizioni sono ben diverse e si arrampicano sull’intero spettro dei temi che dettano l’agenda politica in Italia come negli Stati Uniti, in Europa come nel resto del mondo. Ovunque non ci si avviluppi a bunga bunga e regalie elargite a piene mani a frotte di fanciulle. Il sipario del convegno sulla legalità organizzato da Angela Napoli si alza sulle note dell’inno di Mameli. Al video che scorre subito dopo sul maxischermo e che è lo stesso che ha bagnato l’esordio del movimento finiano a Bastia Umbra assiste l’intera platea che riempie una sala orgogliosa. Istintivo e fiero si alza l’applauso quando le immagini si fermano sui volti di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. In prima fila Italo Bocchino e Carmelo Briguglio, Nino Lo Presti e Roberto Menia, lo stato maggiore di Futuro e Libertà (quasi) al completo. A rendere gli onori di casa provvede Angela Napoli che inaugura un incontro in cui è ben visibile una netta discontinuità con le camarille pubbliche del passato. Il ritmo è incalzante, gli interventi si susseguono con la rapidità propria della new politics. Non fa giri di parole l’onorevole Napoli che saluta Fini come l’uomo che sta salvando l’Italia, da chi e da cosa è facilmente intuibile. E’ la legalità il tema del convegno, è la legalità che la parlamentare di Taurianova richiama come valore fondante di Futuro e Libertà e c’è da auspicare che esso si riempia di contenuti dall’accezione più ampia possibile perché, si sa, quando poi ci si cala nelle dinamiche politiche proprie della periferia, negli enti locali, nella gestione della quotidianità, il rischio connesso all’infiltrazione di professionisti del salto su carri, che si presumono vincenti, è sempre alto. E anche in questo caso, nel pomeriggio di ieri si è assistito ad un’altra scena che racchiude metaforicamente un pericolo simile quando, al termine dell’incontro, in tanti, forse troppi, tra coloro che nulla hanno a che vedere con i pensieri e gli ideali che stanno accompagnando i primi vagiti del partito di Fini, erano lì nel cuore della ressa a spintonare per guadagnarsi un posto al sole che permettesse loro di accedere al soglio del saluto al leader. Chiuda loro la porta, onorevole Napoli, non è con un codice etico, pure annunciato dal Presidente della Camera nel corso del suo intervento, che in boschi come quello reggino o calabrese ci si può sentire al sicuro dal pericolo di incontrare cacciatori di frodo pronti ad impallinare con la loro semplice presenza una verginità politica, legittimamente inseguita e rivendicata con foga. Del resto, è stata proprio lei, onorevole, ad affermare con limpida nettezza che in questi ultimi tempi, l’operato di magistrati e Forze dell’Ordine ha consentito di conseguire risultati buoni, ma ancora non sufficienti a marcare con nettezza i confini tra legalità e illegalità. Se è l’eticità che deve tratteggiare in modo inequivocabile l’azione politica di coloro che rappresenteranno Futuro e Libertà, e anche questo in un’Italia diversa, in un’Italia normale, sarebbe un richiamo inutile per la sua ovvietà, si abbia il coraggio di giudicare i comportamenti, a prescindere dai certificati giudiziari di ciascuno. E’ un concetto che rafforza quanto detto poco dopo da Francesco Forgione, già vice presidente della Commissione parlamentare antimafia, che salendo sul palco, ha spiegato che: “La politica deve arrivare prima della giustizia, senza aspettare i tre gradi di giudizio” perché l’eticità non si misura unicamente con la quantità di macchie presenti sulla fedina penale di ciascuno. I muri che devono essere innalzati a difesa del fortino necessitano, dunque, di mattoni particolarmente spessi, se è vero come è vero quanto ciò che ra racchiuso nel concetto chiave illustrato con un’incisività ed una lucidità ammirevoli da Nino De Masi. L’imprenditore, intervenendo in qualità di “testimonial” antimafia, non ha ceduto alla facile retorica e con la solidità e la ruvida concretezza che hanno sempre segnato il suo coraggioso percorso a queste latitudini, ha ricordato che in Calabria: “La ‘ndrangheta svolge una funzione suppletiva dello Stato, nell’ordine pubblico e nella sanità, nel lavoro e nello sviluppo economico”. Una fotografia spietata dietro cui si intravedevano in controluce le parole pronunciate immediatamente dopo da De Masi e che nascono da una seconda istantanea, altrettanto dura e che vede al centro dell’immagine “Lo ‘ndranghetista che è ossequiato”. Un’amara constatazione che fa urlare con somma dignità l’imprenditore: “Il tempo della filosofia è passato, il tempo della speranza è passato. Ora o mai più è il tempo di una vera, autentica rivoluzione culturale”. Un grido che si è idealmente ricollegato al monito lanciato poco dopo dal Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, che scortato dalla sua proverbiale sobrietà nei toni, non ha esitato a rivolgersi in modo diretto e senza filtri ad ognuno di noi, perché, è questa la sua impressione: “Il cittadino recita il ruolo di spettatore di questa sfida tra Stato e ‘ndrangheta senza partecipare, ma limitandosi, eventualmente, a tifare per l’uno o per l’altra, ma questa non è una partita”. In realtà, ha continuato il magistrato, “la ‘ndrangheta non è invisibile e, proprio perché tale, ogni singolo cittadino può e deve interrompere qualsiasi rapporto con l’associazione mafiosa”. Naturalmente, questo sarebbe reso ancor più semplice se, come ha ricordato salendo sul palco Gianfranco Fini, non ci fosse nessuno che definisce “Vittorio Mangano un eroe”. Un pensiero che era stato espresso già da Antonio Ingroia, procuratore aggiunto a Palermo, dettosi disarmato di fronte al fatto che “volgari assassini vengano definiti eroi”. Un riferimento chiaro a Marcello Dell’Utri, che ha dato la stura al Presidente della Camera per spiegare, una volta di più, l’inconciliabilità progressivamente allargatasi fino a trasformarsi in una vera e propria frattura con il Pdl. Dice Fini, infatti che: “Se si tace di fronte ad una frase di questo genere, se si tace di fronte alle vicende giudiziarie che riguardano Nicola Cosentino, ex sottosegretario all’Economia ed attuale coordinatore regionale del Pdl in Campania, vuol dire che si è complici, che si è corresponsabili”. Non potevano, evidentemente, mancare, richiami, alla più stringente attualità politica e, al riguardo, Fini non ha tergiversato, affermando che “le questioni di questi giorni sembra che siano fatte apposta per gettare fango sulle Istituzioni e sulla politica”. Si tratta di una conseguenza inevitabile se, ha proseguito il leader di Futuro e Libertà: “Il presidente del Consiglio ritiene che vincere le elezioni lo abbia automaticamente collocato al di sopra della legge, ma presunzione d’innocenza non è presunzione d’impunità”. E’ questa la ragione che ha indotto Fini a rivendicare con orgoglio di aver bloccato la riforma della giustizia. Un’accusa che era arrivata da Silvio Berlusconi nella mattinata di ieri e che il Presidente della Camera ha saputo trasformare in un assist per affermare che “la riforma della giustizia voluta dal presidente del Consiglio ha un unico scopo, quello di bloccare i processi che lo riguardano”. Di fronte a “comportamenti che macchiano il buon nome dell’Italia”, ha rimarcato Fini, “la destra, quella dei nostri padri, ha il dovere di distinguersi da questa caricatura di destra. Come si può affermare il valore della meritocrazia se la si tradisce già nella composizione delle liste in cui sono stati premiati i comportamenti ben definiti che stanno emergendo in questi mesi? Siamo, quindi, orgogliosi di aver dato vita ad una nuova forza politica e ciò che è venuto fuori in questi mesi ci convince della bontà e della necessità di aver fatto quello che abbiamo fatto”. “Noi, ha concluso il Presidente Fini mettendo il sigillo alla differenza di valori che separano Futuro e Libertà da Berlusconi, “crediamo in una libertà che non è la licenza del più forte”.
Nicola Martino