Reggio Calabria. Nella notte tra il 18 e 19 agosto del 1936, settantacinque anni fa esatti, Federico Garcia Lorca, poeta, drammaturgo e scrittore, veniva fucilato presso Granada vicino alla Fuente grande dai Falangisti. Era da poco scoppiata la rivolta guidata dal Generale Franco contro il Governo di Madrid e Federico, che in quella estate si trovava in Andalusia per una breve vacanza, nonostante gli ammonimenti degli amici che lo invitavano a recarsi in America Latina, si trovò intrappolato. Qualche tempo prima, nell’ultima sua intervista rilasciata al “Sol” di Madrid, aveva preso una posizione chiara contro il nazionalismo esasperato della destra spagnola “Io sono uno Spagnolo integrale e mi sarebbe impossibile vivere fuori dai miei limiti geografici; però odio chi è Spagnolo per essere Spagnolo e nient’altro, io sono fratello di tutti e trovo esecrando l’uomo che si sacrifica per una idea nazionalista, astratta, per il solo fatto di amare la propria Patria con la benda sugli occhi. Il Cinese buono lo sento più prossimo dello spagnolo malvagio. Canto la Spagna e la sento fino al midollo, ma prima viene che sono uomo del Mondo e fratello di tutti. Per questo non credo alla frontiera politica.” Questa ed altre iniziative assunte in precedenza ne avevano fatto uno dei bersagli dei Falangisti. A nulla quindi valsero le pressioni dell’amico poeta Louis Rosales, anch’egli falangista, presso cui aveva trovato rifugio, e gli interventi in suo favore della stessa famiglia Rosales e di altri amici. La reazione falangista infatti, all’inizio di quella guerra che avrebbe insanguinato la Spagna per tre anni, si trovava tra mani la preda simbolo di quell’altra Spagna, democratica, liberale, popolare e non se la lasciò fuggire dando così prova di una determinazione feroce che doveva terrorizzare gli avversari. Così morì Federico Garcia Lorca come “un agnellino divorato da un branco di maiali neri, selvatici e affamati”-secondo la scena raccapricciante alla quale egli assistette e che interpretò come un annuncio di una sua prossima morte violenta. All’uomo e al poeta i giovani dell’Associazione Culturale Anassilaos dedicano un omaggio dal titolo emblematico “Così muoiono i poeti” che si terrà giovedì 18 agosto alle ore 21,00 presso il Chiostro di San Giorgio al Corso, con l’intervento di Tito Tropea, che ha raccolto i testi, Giacomo Marcianò che ha curato le immagini e i video, Giovanni Azzarà che leggera il prologo e l’artista Fatima Ranieri. Tale incontro costituisce la prima tappa di un viaggio attraverso le tragedie dei poeti del Novecento, che è poi un viaggio attraverso le tragedie stesse della storia del XX secolo, a dimostrazione di quanto la mite, all’apparenza, voce della poesia possa fare male al “Potere” sia rosso che nero, totalitario o apparentemente democratico. Scorreranno così mese per mese le vite dei poeti vittime di regimi autoritari o di società indifferenti, assassinati, spariti nei gulag, “suicidati” o nascosti nei manicomi: Osip Mandelstam, Pier Paolo Pasolini, Vladimir Majakovskij, Dino Campana e tanti altri che costituiscono sono la testimonianza viva e dolorosa di quanto la poesia avere la forza grande di raccontare e mantenere la memoria degli eventi. Nella prefazione a Requiem la poetessa russa Anna Achmatova che, insieme a tante altre donne, si trovava in fila per ottenere informazioni sul figlio arrestato nel pieno delle persecuzioni staliniane, così racconta: “…una donna dalle labbra bluastre che stava dietro di me [nella fila] e che certamente, non aveva mai udito il mio nome, si ridestò dal torpore … e mi domandò all’orecchio: “Ma lei può descrivere questo?” E io dissi: “Posso”. Allora una specie di sorriso scivolò per quello che una volta era stato il suo volto” (trad. di C. Riccio). Ecco in questa testimonianza il “potere” della poesia, quando si confronta con le tragedie della storia, e il timore che essa suscita sempre ed in ogni luogo.
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