Recentemente, ascoltando il Sindaco di Reggio, ho risentito, a distanza di diversi mesi, e con la stessa forza, la frase: “Ho il dovere di difendere la città e la sua dignità, prima di tutto …… e la stessa cosa vorrei fosse fatta da ogni cittadino”.
Avevo più volte pensato a quella espressione ed avevo creduto che, oltre al significato “istituzionale”, essa contenesse un ordine quasi spirituale, una missione e una aspirazione il cui senso più profondo doveva ricercarsi trascendendo ogni considerazione politica. Ma non fu tanto la frase in sé, quanto l’emozione che la pronunciava a fornirmi lo strumento di una lettura tutta umana, un “codice” civile più che un’azione politica.
Una parte della città, però, contrariamente a quel sentimento, ogni giorno inventa un preannuncio del dramma, sventola un pericolo, quotidianamente istruisce un processo alla politica. E la gente, forse per inerzia, correndo sulla traccia di questo esercizio preminente, crea categorie politiche come se fosse alla ricerca d’una razza peggiore, diversa dalla propria, lontana.
Ma nella proclamazione di una vita così provvisoria e alla giornata, i primi ad essere colpiti sono gli intellettuali. Sono loro, infatti, che, finendo per obbedire a questo formulario apocalittico, soffocano la creazione delle buone teorie, delle visioni del futuro, le forme della vita migliori, lasciando che si diffondano il panegirico, gli impeti eccessivi, qualche cosa di profetico e di troppo sicuro che toglie il respiro.
Temo che lanciare l’edizione straordinaria del dramma e una certa propaganda di idee, pur essendo utili a passare alcune ore, si risolvano poi ad essere catalogate con il generico nome di “anonimo”. Ma i danni, al contrario, restano.
Che io sappia gli intellettuali non hanno mai profittato dei loro tempi peggiori per darci soltanto prospettive documentarie del mondo, e ciò in tutte le epoche. Ciò che chiediamo loro, invece, è di condurci verso la ricerca delle leggi dell’assoluto in un mondo contingente; di mostrarci, cioè, il valore definitivo a fenomeni e fatti transitori, come il carattere che attesta il sentimento della comunità e il senso dell’interesse comune. Ma dove sono gli intellettuali di Reggio?
La creazione di una città nata non tanto da una aspirazione, quanto prodotta da una costruzione delle vita civile, formatasi nell’indistinto alveare umano, non può che avvenire riportando la speranza fin dentro alla coscienza di ogni cittadino.
Se penso a Reggio all’alba, quando è deserta, vedo la pietra e il mare acquistare una architettura universale e sulla spiaggia ancora le orme evidenti di una storia cosmica. Le difficoltà di oggi, seppur sensibili, non possono mutare gli elementi di una vita che hanno operato lentamente, gli antichi atteggiamenti, il sottilissimo filo che lega quel tempo al nostro, l’intuizione dei millenni.
Il tempo che attraversiamo sembra voglia chiudere ogni attesa per la nostra città. Di fronte a tale evidenza, tuttavia, occorre capire il senso di ciò che rimane, che è frutto di ogni quotidiana azione, sia che essa tenda alla verità, sia che rappresenti lo spettro o l’ombra dell’ingiuria. Ma ogni parola resterà sulla nostra Reggio, col peso che hanno le parole e le sillabe di pietra che le compongono. Non esiste in politica un credito illimitato. E chi fa politica è sottoposto a tali alterne fortune. L’opera ricomincia ogni giorno, tutti i giorni, e giorno per giorno sarà giudicata. E’ una lotta delle più dure, implica tutta la vita e tutte le ore.
Vi fu e vi sarà sempre un cumulo di macerie che ci ricordi un angolo di rovina, un simbolo crollato ma, con l’aiuto degli intellettuali, in ogni tempo, accostandoci ad esso cercammo sempre il simbolo o la croce che rimasero in piedi, e ci mettemmo in processione per formare una umanità nuova.
Sosteniamo la città, quindi, con l’intelligenza di chi guarda oltre e per gli altri.
Giuseppe Bombino
docente Università Mediterranea